Keep calm and… abbassare il tono della voce, grazie!
A TRIESTE, DI BUON GRADO!
Da dove potrei cominciare questo viaggio verso la
città mitteleuropea più letteraria di tutte, patria di Saba e Svevo per citare
due autori a caso? Forse da me e Mary che facciamo il nostro ingresso a bordo
della lussuosissima prima classe del Frecciarossa (in offerta, ovviamente),
con tanto di accoglienza, giornale, drink e tutto il resto? Oppure dalla befana
con la quale abbiamo la sfortuna di dividere la carrozza (semivuota) che ci
intima di abbassare la voce (cioè, avete presente il tono di Mary?) perché lei
deve studiare… ma che venga bocciata, le auguro di cuore io, che ho studiato
come una matta durante gli anni del liceo e dell’università nell’affollatissima
metropolitana milanese, laureandomi con il massimo dei voti sulla linea verde!
Sta di fatto che, mentre la carrozza numero uno è immersa nel silenzio, dato
che le persone sono traumatizzate dall’isteria della signora, il treno giunge a
Trieste e finalmente possiamo smettere di comunicare con il linguaggio dei
segni!
Ci rechiamo innanzitutto all’hotel Alabarda, che a
prima vista non suscita un’ottima impressione, dato che è collocato all’interno
di un palazzo fatiscente che ospita anche un ospizio e un asilo nido, però una
volta raggiunta la reception veniamo rassicurate dall’accoglienza gentile degli
albergatori, senza contare che la posizione dell’albergo è centralissima, e le
stanze sono spaziose e pulite (la nostra confina proprio con la sala buffet
della colazione, un’altra buona notizia)!
Appena usciamo, dirette al Canal Grande, ci rendiamo
subito conto che tutti i triestini hanno dei modi cordiali e sono sempre pronti
a darti qualche indicazione appena ti vedono in difficoltà. Tutti, ma proprio
tutti: dal ristoratore che riceve i clienti col sorriso sulla bocca, al
gabbiano meticcio che io importuno sul lungomare, fino alla statua di Joyce, il
grande scrittore irlandese molto legato a questa città: se potesse parlare
anche lui ci darebbe una mano a orientarci per le vie di Trieste!
Per mia fortuna, Mary è un super GPS e in men che non
si dica mi conduce nella maestosa Piazza dell’Unità d’Italia, adornata da
elegantissimi palazzi che rivelano il passato di questa città, legata
all’Austria e agli Asburgo. Per non parlare dei caffè d’epoca e delle viuzze
del centro storico, che percorriamo fino a raggiungere il Parco della
Rimembranza, dedicato alle vittime delle foibe. Inizia la salita verso san
Giusto, tra mura pericolanti e animali amputati (ne incontriamo parecchi e ci
domandiamo perché), finché giungiamo al Castello, dal quale è possibile godere
di una spettacolare vista della città, e alla Cattedrale, in stile bizantino.
Quanta storia in questi luoghi, quanti contrasti tra gli stili delle diverse
epoche e quanto silenzio nel parco esterno ai due monumenti: qui non ci
sogniamo neanche di alzare il tono della voce!
Dopo aver ammirato il tramonto sul lungomare,
scopriamo che nella nostra stanza d’albergo… piove, a causa del condizionatore,
ma tanto è Mary a beccarsi tutte le gocce, e poi devo dire che i ragazzi della
reception si danno da fare subito per sistemare il danno.
Il secondo giorno comincia con la visita al castello
di Miramare, con i triestini sempre pronti a indicarti la strada per
raggiungere il bus più vicino e una straordinaria passeggiata costeggiando il
mare, verso il parco del castello. La giornata è stupenda, un sacco di gente
prende il sole sugli scogli e si tuffa nelle acque dell’Adriatico, mentre noi contempliamo la dimora di Carlotta e Massimiliano d’Asburgo. Che meraviglia! Personalmente sono affascinata sia dagli interni sia dal curatissimo
giardino, che tra l’altro ospita anche un coro di bambini. Le loro vocine cantano
uno strano inno che fa: “mao mao mao” e un gatto, indispettito, si avvicina.
Insomma, inutile dire che la mattinata scivoli via in
un attimo. Dopo pranzo è la volta di un’altra tappa fondamentale: la Risiera di
San Sabba, quel che resta di un campo di concentramento dotato di forno
crematorio. Ci sarebbero tante cose da dire su questa visita, sulle emozioni
provate alla vista degli ambienti di tortura e sopraffazione dell’essere umano,
ma forse è più giusto e rispettoso stare un attimo in silenzio. E pensare.
Il pomeriggio non è ancora finito: c’è tempo per
salire al faro con il bus 42, un autobus che passa poco frequentemente e quando
passa… non è detto che si fermi a raccoglierti!
Questo lo scopriamo quando arriviamo al Faro della
Vittoria, che si rivela una delusione perché chiuso per ristrutturazione! E noi
non lo sapevamo, ahimè! E rimaniamo sperdute in mezzo al nulla per una buona
mezzora, e io che cerco di distrarre Mary con qualche spiegazione sulla storia
di ‘sto monumento, e però non c’è niente da spiegare… e l’autobus che ci
sfreccia davanti ignorandoci. Insomma, una situazione critica che risolvo
mettendomi in mezzo alla strada e agitando le braccia: solo in questo modo
l’autista del bus successivo inchioda e si degna di farci salire. Viva il 42!
La serata si conclude con una cena presso una
salumeria locale (in ogni locale ci imbattiamo in cartelli che segnalano di
abbassare la voce dopo una certa ora, è una persecuzione!) e infine con
l’ingresso nella stanza gocciolante… ma è sempre Mary a bagnarsi!
3 luglio: levataccia! Ci alziamo prestissimo e
mettiamo fretta al signore che prepara la colazione perché abbiamo progettato
un’escursione in barca a Grado, e nessuno ci può fermare! L’appuntamento è al
Molo Audace, con il battello e una scolaresca formata da una ventina di
bambini, tanto per ricordarmi che mestiere faccio!
Un’altra giornata di sole strepitoso ci attende: in
particolare trascorriamo la mattinata in spiaggia: la costa è bassa, sabbiosa e piena
zeppa di paguri. Il pomeriggio è dedicato invece alla visita del borgo antico
della città, in particolare delle chiese di S. Eufemia, S. Maria delle Grazie,
di epoca paleocristiana, e del lapidario.
Quando torniamo a Trieste è ormai sera e Piazza
dell’Unità d’Italia illuminata ha un non so che di magico. A dire il vero siamo
illuminate anche noi, perché il sole preso in barca e in spiaggia inizia a
farsi sentire con veemenza: sembriamo due luminarie natalizie, per giunta io
scotto e vaneggio… buonanotte!
Ma il meglio deve ancora venire. L’ultimo giorno a
Trieste ci avventuriamo nella zona del Carso, al confine con la Slovenia, alla
scoperta della Grotta Gigante. Si sale su, sempre più su con il bus (il
famigerato 42, ma ormai abbiamo imparato la lezione!), si esce fuori dalla
città, si arriva quasi al capolinea e poi si prosegue a piedi, in base alle
indicazioni fornite da un’anziana signora nella quale ci imbattiamo.
Siamo arrivate? Le chiediamo. Non ancora, risponde lei: dovete prendere una viottola,
attraversare un passo montano, guadare il fiume, addentrarvi nel bosco
lasciando le noci al vostro passaggio per non perdere il sentiero e poi,
cammina cammina incontrerete una strega cattiva che vi offrirà una mela
avvelenata, ma voi la neutralizzerete con l’unica noce che vi è rimasta in
tasca, una noce magica che si trasformerà in un principe azzurro, che la farà
innamorare e vivranno per sempre felici e contenti.
Veramente non ci ha detto proprio così, però il senso
era quello.
Comunque in qualche modo… eccoci alla Grotta Gigante.
Indovinate perché si chiama così? Nell’attesa di entrare e iniziare il percorso
con la guida, una ragazza inglese si avvicina a Mary chiedendo di scattare una
foto a lei e al resto della sua comitiva. Mary, per tutta risposta, si mette…
in posa!
Per fortuna arriva l’accompagnatore e possiamo
iniziare il tour della grotta, altrimenti chissà come andava a finire con i
sudditi del piccolo Alexander… dunque scendiamo in profondità, sempre più giù, negli
abissi più reconditi della terra. Sembra di essere in un romanzo di Verne,
oppure nell’Inferno dantesco: insomma, un’esperienza unica!
I gradini (gradoni…) mettono a dura prova le mie
gambe, ma vale proprio la pena di ammirare questo spettacolo di stalattiti e
stalagmiti: si tratta di una delle grotte più grandi d’Europa e come se nulla
fosse ci ritroviamo a più di cento metri di profondità, brrr…
La guida ci racconta la storia della scoperta della
grotta, spiegando anche come si è formata questa cattedrale sotterranea, grazie
all’erosione e all’azione dell’acqua e del carbonato di calcio. Un lavoro
goccia a goccia compiuto dalla natura. Si risale in superficie con un po’ di
affanno e un leggero stordimento per lo sbalzo repentino di temperatura. Quindi
usciamo a riveder le stelle… anzi il sole! Non c’è niente di meglio che
recuperare le energie con un pranzo tipico del Carso, o almeno… il ristoratore
del locale vicino alla grotta lo spaccia per tale, ma a me sembra tanto di
mangiare una cotoletta alla milanese ripiena di formaggio fuso e prosciutto
cotto… boh. Il tizio però afferma con convinzione che questa specie di cordon
bleu sia un’autentica specialità locale e insiste per farci prendere qualche
altro piatto. Dunque cedo all’insistenza e assaggio un dolce tipico, almeno
spero, alle noci.
Tipicità a parte, è ora di rientrare all’hotel
Alabarda, ringraziare gli albergatori dell’ospitalità e del servizio, prima di
metterci in viaggio. La seconda classe del Frecciarossa ci attende, e qui
arrivano le note dolenti, a causa di un mio errore nella prenotazione on line del
giorno del treno e a causa di uno zelantissimissimo controllore, il partenopeo
Alfonso, che proprio nun ne vò sapè di chiudere un occhio, anche se il
biglietto noi l’abbiamo pagato, eccome… anche se il treno è DESERTO… anche se
proviamo a prenotare in fretta e furia a pochi minuti dalla partenza tramite
smartphone ma trenitalia non lo permette… anche se poi questi gendarmi chiudono
un occhio quando a loro fa comodo, si sa. Ma Alfonso è scucciato, e noi… jamm
ja… foraggiamo Trenitalia e Fecciarossa.
Il viaggio però si conclude in modo lieto, con una
famiglia di egiziani diretti a Milano (anche loro hanno avuto problemi con
Trenitalia, ma dai?!) che ci domandano informazioni turistiche sulla metropoli nonché
la strada più comoda per raggiungere il loro albergo dalla stazione. E per
ringraziare ci donano una pergamena bellissima.
Insomma, per ogni incontro storto, per ogni volta che
ti viene imposto di abbassare la voce, c’è sempre una sorpresa, un sorriso più
grande, c’è sempre l’azzurro abbraccio del mare.
Questo ho imparato dopo aver conosciuto Trieste,
città border line di scrittori e poeti, città capace di spettinarti l’identità
con un soffio di vento. Funiculì funiculà.