mercoledì 31 luglio 2013

TRIESTE 01-07-2013: LA RELAZIONCINA

Keep calm and… abbassare il tono della voce, grazie!

A TRIESTE, DI BUON GRADO!

Da dove potrei cominciare questo viaggio verso la città mitteleuropea più letteraria di tutte, patria di Saba e Svevo per citare due autori a caso? Forse da me e Mary che facciamo il nostro ingresso a bordo della lussuosissima prima classe del Frecciarossa (in offerta, ovviamente), con tanto di accoglienza, giornale, drink e tutto il resto? Oppure dalla befana con la quale abbiamo la sfortuna di dividere la carrozza (semivuota) che ci intima di abbassare la voce (cioè, avete presente il tono di Mary?) perché lei deve studiare… ma che venga bocciata, le auguro di cuore io, che ho studiato come una matta durante gli anni del liceo e dell’università nell’affollatissima metropolitana milanese, laureandomi con il massimo dei voti sulla linea verde! Sta di fatto che, mentre la carrozza numero uno è immersa nel silenzio, dato che le persone sono traumatizzate dall’isteria della signora, il treno giunge a Trieste e finalmente possiamo smettere di comunicare con il linguaggio dei segni!

Ci rechiamo innanzitutto all’hotel Alabarda, che a prima vista non suscita un’ottima impressione, dato che è collocato all’interno di un palazzo fatiscente che ospita anche un ospizio e un asilo nido, però una volta raggiunta la reception veniamo rassicurate dall’accoglienza gentile degli albergatori, senza contare che la posizione dell’albergo è centralissima, e le stanze sono spaziose e pulite (la nostra confina proprio con la sala buffet della colazione, un’altra buona notizia)!
Appena usciamo, dirette al Canal Grande, ci rendiamo subito conto che tutti i triestini hanno dei modi cordiali e sono sempre pronti a darti qualche indicazione appena ti vedono in difficoltà. Tutti, ma proprio tutti: dal ristoratore che riceve i clienti col sorriso sulla bocca, al gabbiano meticcio che io importuno sul lungomare, fino alla statua di Joyce, il grande scrittore irlandese molto legato a questa città: se potesse parlare anche lui ci darebbe una mano a orientarci per le vie di Trieste!
Per mia fortuna, Mary è un super GPS e in men che non si dica mi conduce nella maestosa Piazza dell’Unità d’Italia, adornata da elegantissimi palazzi che rivelano il passato di questa città, legata all’Austria e agli Asburgo. Per non parlare dei caffè d’epoca e delle viuzze del centro storico, che percorriamo fino a raggiungere il Parco della Rimembranza, dedicato alle vittime delle foibe. Inizia la salita verso san Giusto, tra mura pericolanti e animali amputati (ne incontriamo parecchi e ci domandiamo perché), finché giungiamo al Castello, dal quale è possibile godere di una spettacolare vista della città, e alla Cattedrale, in stile bizantino. Quanta storia in questi luoghi, quanti contrasti tra gli stili delle diverse epoche e quanto silenzio nel parco esterno ai due monumenti: qui non ci sogniamo neanche di alzare il tono della voce!
Dopo aver ammirato il tramonto sul lungomare, scopriamo che nella nostra stanza d’albergo… piove, a causa del condizionatore, ma tanto è Mary a beccarsi tutte le gocce, e poi devo dire che i ragazzi della reception si danno da fare subito per sistemare il danno.

Il secondo giorno comincia con la visita al castello di Miramare, con i triestini sempre pronti a indicarti la strada per raggiungere il bus più vicino e una straordinaria passeggiata costeggiando il mare, verso il parco del castello. La giornata è stupenda, un sacco di gente prende il sole sugli scogli e si tuffa nelle acque dell’Adriatico, mentre noi contempliamo la dimora di Carlotta e Massimiliano d’Asburgo. Che meraviglia! Personalmente sono affascinata sia dagli interni sia dal curatissimo giardino, che tra l’altro ospita anche un coro di bambini. Le loro vocine cantano uno strano inno che fa: “mao mao mao” e un gatto, indispettito, si avvicina.
Insomma, inutile dire che la mattinata scivoli via in un attimo. Dopo pranzo è la volta di un’altra tappa fondamentale: la Risiera di San Sabba, quel che resta di un campo di concentramento dotato di forno crematorio. Ci sarebbero tante cose da dire su questa visita, sulle emozioni provate alla vista degli ambienti di tortura e sopraffazione dell’essere umano, ma forse è più giusto e rispettoso stare un attimo in silenzio. E pensare.
Il pomeriggio non è ancora finito: c’è tempo per salire al faro con il bus 42, un autobus che passa poco frequentemente e quando passa… non è detto che si fermi a raccoglierti!
Questo lo scopriamo quando arriviamo al Faro della Vittoria, che si rivela una delusione perché chiuso per ristrutturazione! E noi non lo sapevamo, ahimè! E rimaniamo sperdute in mezzo al nulla per una buona mezzora, e io che cerco di distrarre Mary con qualche spiegazione sulla storia di ‘sto monumento, e però non c’è niente da spiegare… e l’autobus che ci sfreccia davanti ignorandoci. Insomma, una situazione critica che risolvo mettendomi in mezzo alla strada e agitando le braccia: solo in questo modo l’autista del bus successivo inchioda e si degna di farci salire. Viva il 42!

La serata si conclude con una cena presso una salumeria locale (in ogni locale ci imbattiamo in cartelli che segnalano di abbassare la voce dopo una certa ora, è una persecuzione!) e infine con l’ingresso nella stanza gocciolante… ma è sempre Mary a bagnarsi!
3 luglio: levataccia! Ci alziamo prestissimo e mettiamo fretta al signore che prepara la colazione perché abbiamo progettato un’escursione in barca a Grado, e nessuno ci può fermare! L’appuntamento è al Molo Audace, con il battello e una scolaresca formata da una ventina di bambini, tanto per ricordarmi che mestiere faccio!
Un’altra giornata di sole strepitoso ci attende: in particolare trascorriamo la mattinata in spiaggia: la costa è bassa, sabbiosa e piena zeppa di paguri. Il pomeriggio è dedicato invece alla visita del borgo antico della città, in particolare delle chiese di S. Eufemia, S. Maria delle Grazie, di epoca paleocristiana, e del lapidario.
Quando torniamo a Trieste è ormai sera e Piazza dell’Unità d’Italia illuminata ha un non so che di magico. A dire il vero siamo illuminate anche noi, perché il sole preso in barca e in spiaggia inizia a farsi sentire con veemenza: sembriamo due luminarie natalizie, per giunta io scotto e vaneggio… buonanotte!

Ma il meglio deve ancora venire. L’ultimo giorno a Trieste ci avventuriamo nella zona del Carso, al confine con la Slovenia, alla scoperta della Grotta Gigante. Si sale su, sempre più su con il bus (il famigerato 42, ma ormai abbiamo imparato la lezione!), si esce fuori dalla città, si arriva quasi al capolinea e poi si prosegue a piedi, in base alle indicazioni fornite da un’anziana signora nella quale ci imbattiamo. Siamo arrivate? Le chiediamo. Non ancora, risponde lei: dovete prendere una viottola, attraversare un passo montano, guadare il fiume, addentrarvi nel bosco lasciando le noci al vostro passaggio per non perdere il sentiero e poi, cammina cammina incontrerete una strega cattiva che vi offrirà una mela avvelenata, ma voi la neutralizzerete con l’unica noce che vi è rimasta in tasca, una noce magica che si trasformerà in un principe azzurro, che la farà innamorare e vivranno per sempre felici e contenti.
Veramente non ci ha detto proprio così, però il senso era quello.
Comunque in qualche modo… eccoci alla Grotta Gigante. Indovinate perché si chiama così? Nell’attesa di entrare e iniziare il percorso con la guida, una ragazza inglese si avvicina a Mary chiedendo di scattare una foto a lei e al resto della sua comitiva. Mary, per tutta risposta, si mette… in posa!
Per fortuna arriva l’accompagnatore e possiamo iniziare il tour della grotta, altrimenti chissà come andava a finire con i sudditi del piccolo Alexander… dunque scendiamo in profondità, sempre più giù, negli abissi più reconditi della terra. Sembra di essere in un romanzo di Verne, oppure nell’Inferno dantesco: insomma, un’esperienza unica!
I gradini (gradoni…) mettono a dura prova le mie gambe, ma vale proprio la pena di ammirare questo spettacolo di stalattiti e stalagmiti: si tratta di una delle grotte più grandi d’Europa e come se nulla fosse ci ritroviamo a più di cento metri di profondità, brrr…
La guida ci racconta la storia della scoperta della grotta, spiegando anche come si è formata questa cattedrale sotterranea, grazie all’erosione e all’azione dell’acqua e del carbonato di calcio. Un lavoro goccia a goccia compiuto dalla natura. Si risale in superficie con un po’ di affanno e un leggero stordimento per lo sbalzo repentino di temperatura. Quindi usciamo a riveder le stelle… anzi il sole! Non c’è niente di meglio che recuperare le energie con un pranzo tipico del Carso, o almeno… il ristoratore del locale vicino alla grotta lo spaccia per tale, ma a me sembra tanto di mangiare una cotoletta alla milanese ripiena di formaggio fuso e prosciutto cotto… boh. Il tizio però afferma con convinzione che questa specie di cordon bleu sia un’autentica specialità locale e insiste per farci prendere qualche altro piatto. Dunque cedo all’insistenza e assaggio un dolce tipico, almeno spero, alle noci.

Tipicità a parte, è ora di rientrare all’hotel Alabarda, ringraziare gli albergatori dell’ospitalità e del servizio, prima di metterci in viaggio. La seconda classe del Frecciarossa ci attende, e qui arrivano le note dolenti, a causa di un mio errore nella prenotazione on line del giorno del treno e a causa di uno zelantissimissimo controllore, il partenopeo Alfonso, che proprio nun ne vò sapè di chiudere un occhio, anche se il biglietto noi l’abbiamo pagato, eccome… anche se il treno è DESERTO… anche se proviamo a prenotare in fretta e furia a pochi minuti dalla partenza tramite smartphone ma trenitalia non lo permette… anche se poi questi gendarmi chiudono un occhio quando a loro fa comodo, si sa. Ma Alfonso è scucciato, e noi… jamm ja… foraggiamo Trenitalia e Fecciarossa.
Il viaggio però si conclude in modo lieto, con una famiglia di egiziani diretti a Milano (anche loro hanno avuto problemi con Trenitalia, ma dai?!) che ci domandano informazioni turistiche sulla metropoli nonché la strada più comoda per raggiungere il loro albergo dalla stazione. E per ringraziare ci donano una pergamena bellissima.
Insomma, per ogni incontro storto, per ogni volta che ti viene imposto di abbassare la voce, c’è sempre una sorpresa, un sorriso più grande, c’è sempre l’azzurro abbraccio del mare.

Questo ho imparato dopo aver conosciuto Trieste, città border line di scrittori e poeti, città capace di spettinarti l’identità con un soffio di vento. Funiculì funiculà