domenica 17 novembre 2013

Il tramonto nei tuoi occhi

Ma l'ho compreso, pensandoti stasera
che il tramonto nei tuoi occhi
non sarà mai sera.
Fabiana Sarcuno, "Il viandante del ritorno".

sabato 9 novembre 2013

Rendere fumo le convenzioni

Il mio cuore era appagato perché avevo toccato quella meta rendendo fumo le convenzioni e gettandomi a occhi chiusi nel viaggio. Fabiana Sarcuno, "Non ho una lira".

sabato 2 novembre 2013

L'ironia...

L’ironia è ciò che ci tiene in vita: consente di metterci in gioco e di difenderci da chi si prende troppo sul serio. Fabiana Sarcuno, "Non ho una lira".

venerdì 1 novembre 2013

Possa il mio stupore...

Possa il mio stupore

Riecheggiare

Come la risata di un bambino.

(Fabiana Sarcuno, "Ancora tenterò la mia lira")

martedì 20 agosto 2013

Solo colui che smarrisce mille volte la sua via troverà quella che lo riporta alla sua casa (Gibran).

sabato 17 agosto 2013

PROVENZA 14-16 AGOSTO: LA RELAZIONCINA

Sulle tracce di Cezanne, Zola, Petrarca, Van Gogh e ovviamente dei poeti provenzali!

TAN M’ABELLIS L’AMOROS PENSAMEN[1]

14 agosto: Pronti, Provenza, via!
Badabum! Vorrei cominciare questa relazioncina con una rovinosa caduta dal letto, la prima nei miei (quasi) 33 anni di vita, proprio mentre sogno di essere in mezzo a un campo di lavanda, inebriata dal profumo dei fiori. E invece mi ritrovo sul parquet di casa, con le ginocchia sbucciate e la consapevolezza che tra qualche ora lambirò una terra ricca di suggestioni artistiche e poetiche, soprattutto se penso ai miei amati trovatori occitanici, che intorno al 1100 cominciarono a verseggiare in lingua d’oc, dando vita a una raffinatissima scuola poetica di corte, così importante anche per la tradizione letteraria italiana.
Il viaggio in pullman procede tranquillo e senza intoppi. Laura, l’assistente di viaggio della Turi Turi, è molto gentile e premurosa; inoltre io e mia mamma, che mi accompagna in questo tour, ne approfittiamo per conoscere alcuni dei componenti del gruppo, come Rossella, la signora Anna, i due fratelli Davide e Marina, una simpatica famiglia di Bergamo, nonché Michela di Pero, una fanciulla con una missione ben precisa: acquistare una tovaglia in terra occitanica, costi quel che costi!
La prima tappa è ad Aix En Provence, ridente località che diede i natali a Cezanne: su alcuni marciapiedi vi sono infatti delle placche che indicano il passaggio dell’artista o segnalano i luoghi più significativi della sua giovinezza. Per esempio scopriamo che durante il periodo della scuola conobbe Émile Zola, un altro personaggio molto legato ad Aix, e che tra loro vi fu una profonda amicizia, finita però non troppo bene.
Cammina cammina, a furia di calpestare placche e… vabbè, io anche qualcos’altro (ma si trattava dell’unica bruttura, Aix è una città pulitissima e ben curata), giungiamo nel cuore del centro storico, senza dimenticare di ammirare le splendide fontane che adornano questa località, come quella di Corso Mirabeau.
Ecco allora che scopriamo la cattedrale, la cappella degli Oblati, il Municipio e il museo Granet, le architetture barocche (ma non troppo, sempre abbastanza sobrie) mentre una calura piuttosto decisa ma non eccessiva ci accompagna e le cicale continuano a frinire. Perciò ci concediamo una sosta, gustando la specialità del posto: i calissons, dolci fatti con pasta di mandorle. Calissons, cioè delicati come carezze: pare che una principessa molto triste e sempre imbronciata abbia sorriso per la prima volta dopo averli assaggiati, ma se devo essere sincera non mi sembrano un granché.
E la lavanda? Beh, siamo ad agosto ed è un po’ sfiorita, in compenso la melodia delle cicale ci segue ovunque, anche al Novotel, dove i francesi hanno la strana abitudine di farti trovare in stanza l’aria condizionata al massimo e il piumone nel letto. Però qui almeno non cado!


15 AGOSTO: A CASA DEL PAPA
Slap! Potrei iniziare questa giornata col suono di uno schiaffo, non solo quello di Anagni ricevuto da papa Bonifacio VIII (oggi è la giornata dedicata al palazzo dei papi ad Avignone), ma anche a quello, metaforico, incassato dalla famiglia bergamasca, capeggiata dalla piccola Francesca. A colazione non fanno in tempo a voltarsi un attimo e, voilà, la borsa contenente soldi, documenti e un I-Phone sparisce come per magia.
A causa di quest’evento poco edificante ricorderemo il Novotel come l’albergo di Arsenio Lupin: insomma, il viaggio si tinge di giallo, tra atteggiamenti non proprio carini del personale dell’hotel, Laura che si fa in quattro per andare in questura e la borsa che viene ritrovata la mattina stessa in un altro albergo. Naturalmente, tutto razziato.

Ma cambiamo argomento e raggiungiamo Avignone, che dal 1309 al 1377 fu sede dei pontefici, affacciamoci dal celeberrimo ponte sul Rodano e ripercorriamo le alterne vicende tra la Chiesa di Roma e i sovrani di Francia. Andiamo anche più avanti nei secoli, all’epoca della Rivoluzione francese, e scopriremo il motivo per cui il palazzo dei Papi, all’esterno maestoso e imponente, si presenta con numerose “mutilazioni” al suo interno. I rivoluzionari, infatti, avevano l’abitudine di tagliare le teste, le mani e i piedi delle statue nonché degli affreschi raffiguranti religiosi e santi, perché in questo modo miravano a distruggere il potere della Chiesa.
Anche il parco del palazzo merita una visita approfondita, per la vegetazione curatissima con attenzione a ogni dettaglio, per i pesci enormi che sguazzano nel laghetto intimando ai turisti di dar loro da mangiare (aiuto!) e per l’atmosfera solenne che vi si respira.
Ma Avignone non è solo questo: all’interno delle mura scopriamo che il centro storico è un vero “gioiellino”, tra giostrine d’altri tempi e negozietti pieni di lavanda: purtroppo neppure qui Michela riesce a trovare la sua tovaglia ideale; in compenso ci godiamo una baghette memorabile.
Poi è la volta di Isle Sur La Sorgue: sotto certi aspetti ricorda un po’ i navigli milanesi, solo che non siamo in una grande città, ma in un borgo animatissimo e molto caratteristico, pieno di mulini ad acqua e di angoli da scoprire.
Il secondo e ultimo borgo che vediamo nel pomeriggio è Valchiusa, luogo petrarchesco per eccellenza! L’autore dei Rerum Vulgarium Fragmenta amava trascorrere le sue giornate nella quiete di questo posticino idilliaco “incastonato” nella montagna, dominato dai boschi e dalle acque della Sorgue. Acque? Ma che dico acque? Chiare fresche e dolci acque!


16 AGOSTO: IL SOLE MI FA CANTARE!
Cri cri… vediamo se indovinate quest’ultima onomatopea: mah sì, sono le cicale, ancora loro! Non ci hanno abbandonato un attimo durante la nostra permanenza in Provenza, e per giunta ad Arles notiamo che i negozi sono pieni di souvenir che rappresentano in tutte le salse l’inquietante animaletto. Ma perché? Beh, per la farla breve la cicala è uno dei simboli della Provenza. Tutto inizia con un verso del poeta Frédéric Mistral, il quale scrisse: “il sole mi fa cantare”. Quindi un artigiano ebbe l’idea di iniziare a realizzare sculture per rendere omaggio alla… colonna sonora delle estati provenzali. E così troviamo cicale ovunque, ma anche una scultura dedicata a questo poeta.
Arles è una cittadina più afosa delle precedenti, meno curata e con una vocazione spiccatamente contadina. Ed è soprattutto il luogo che ispirò alcune delle opere più celebri di Vincent Van Gogh, come quella della sua stanza d’ospedale. Qui infatti l’artista fu ricoverato e trascorse alcuni degli anni più difficili della sua travagliata esistenza: allora non ci resta che ripercorrere anche i luoghi del precursore dell’Espressionismo, senza dimenticare la Cattedrale, dove gotico e romanico si fondono armoniosamente, fino a raggiungere la parte antica della città. Qui sorge il sito archeologico, dominato dal teatro romano, in cui attualmente si svolgono corride (questa non è una cosa bella). Qui concludiamo questo piccolo viaggio attraverso una grande terra e, udite udite, Michela riesce finalmente a trovare non una ma due tovaglie! Per di più scontate!
Tutti sul pullman: Laura (o L'aura??) ci invita a osservare dal finestrino gli ultimi scorci di Francia: Cannes, Nizza, la baia di Montecarlo, l’azzurro spavaldo del mare, e così si conclude l’ultimo viaggio di quest’estate. Merci beaucoup.



[1] Incipit di una nota poesia di Folchetto da Marsiglia, uno dei  trovatori provenzali più rappresentativi.

mercoledì 31 luglio 2013

TRIESTE 01-07-2013: LA RELAZIONCINA

Keep calm and… abbassare il tono della voce, grazie!

A TRIESTE, DI BUON GRADO!

Da dove potrei cominciare questo viaggio verso la città mitteleuropea più letteraria di tutte, patria di Saba e Svevo per citare due autori a caso? Forse da me e Mary che facciamo il nostro ingresso a bordo della lussuosissima prima classe del Frecciarossa (in offerta, ovviamente), con tanto di accoglienza, giornale, drink e tutto il resto? Oppure dalla befana con la quale abbiamo la sfortuna di dividere la carrozza (semivuota) che ci intima di abbassare la voce (cioè, avete presente il tono di Mary?) perché lei deve studiare… ma che venga bocciata, le auguro di cuore io, che ho studiato come una matta durante gli anni del liceo e dell’università nell’affollatissima metropolitana milanese, laureandomi con il massimo dei voti sulla linea verde! Sta di fatto che, mentre la carrozza numero uno è immersa nel silenzio, dato che le persone sono traumatizzate dall’isteria della signora, il treno giunge a Trieste e finalmente possiamo smettere di comunicare con il linguaggio dei segni!

Ci rechiamo innanzitutto all’hotel Alabarda, che a prima vista non suscita un’ottima impressione, dato che è collocato all’interno di un palazzo fatiscente che ospita anche un ospizio e un asilo nido, però una volta raggiunta la reception veniamo rassicurate dall’accoglienza gentile degli albergatori, senza contare che la posizione dell’albergo è centralissima, e le stanze sono spaziose e pulite (la nostra confina proprio con la sala buffet della colazione, un’altra buona notizia)!
Appena usciamo, dirette al Canal Grande, ci rendiamo subito conto che tutti i triestini hanno dei modi cordiali e sono sempre pronti a darti qualche indicazione appena ti vedono in difficoltà. Tutti, ma proprio tutti: dal ristoratore che riceve i clienti col sorriso sulla bocca, al gabbiano meticcio che io importuno sul lungomare, fino alla statua di Joyce, il grande scrittore irlandese molto legato a questa città: se potesse parlare anche lui ci darebbe una mano a orientarci per le vie di Trieste!
Per mia fortuna, Mary è un super GPS e in men che non si dica mi conduce nella maestosa Piazza dell’Unità d’Italia, adornata da elegantissimi palazzi che rivelano il passato di questa città, legata all’Austria e agli Asburgo. Per non parlare dei caffè d’epoca e delle viuzze del centro storico, che percorriamo fino a raggiungere il Parco della Rimembranza, dedicato alle vittime delle foibe. Inizia la salita verso san Giusto, tra mura pericolanti e animali amputati (ne incontriamo parecchi e ci domandiamo perché), finché giungiamo al Castello, dal quale è possibile godere di una spettacolare vista della città, e alla Cattedrale, in stile bizantino. Quanta storia in questi luoghi, quanti contrasti tra gli stili delle diverse epoche e quanto silenzio nel parco esterno ai due monumenti: qui non ci sogniamo neanche di alzare il tono della voce!
Dopo aver ammirato il tramonto sul lungomare, scopriamo che nella nostra stanza d’albergo… piove, a causa del condizionatore, ma tanto è Mary a beccarsi tutte le gocce, e poi devo dire che i ragazzi della reception si danno da fare subito per sistemare il danno.

Il secondo giorno comincia con la visita al castello di Miramare, con i triestini sempre pronti a indicarti la strada per raggiungere il bus più vicino e una straordinaria passeggiata costeggiando il mare, verso il parco del castello. La giornata è stupenda, un sacco di gente prende il sole sugli scogli e si tuffa nelle acque dell’Adriatico, mentre noi contempliamo la dimora di Carlotta e Massimiliano d’Asburgo. Che meraviglia! Personalmente sono affascinata sia dagli interni sia dal curatissimo giardino, che tra l’altro ospita anche un coro di bambini. Le loro vocine cantano uno strano inno che fa: “mao mao mao” e un gatto, indispettito, si avvicina.
Insomma, inutile dire che la mattinata scivoli via in un attimo. Dopo pranzo è la volta di un’altra tappa fondamentale: la Risiera di San Sabba, quel che resta di un campo di concentramento dotato di forno crematorio. Ci sarebbero tante cose da dire su questa visita, sulle emozioni provate alla vista degli ambienti di tortura e sopraffazione dell’essere umano, ma forse è più giusto e rispettoso stare un attimo in silenzio. E pensare.
Il pomeriggio non è ancora finito: c’è tempo per salire al faro con il bus 42, un autobus che passa poco frequentemente e quando passa… non è detto che si fermi a raccoglierti!
Questo lo scopriamo quando arriviamo al Faro della Vittoria, che si rivela una delusione perché chiuso per ristrutturazione! E noi non lo sapevamo, ahimè! E rimaniamo sperdute in mezzo al nulla per una buona mezzora, e io che cerco di distrarre Mary con qualche spiegazione sulla storia di ‘sto monumento, e però non c’è niente da spiegare… e l’autobus che ci sfreccia davanti ignorandoci. Insomma, una situazione critica che risolvo mettendomi in mezzo alla strada e agitando le braccia: solo in questo modo l’autista del bus successivo inchioda e si degna di farci salire. Viva il 42!

La serata si conclude con una cena presso una salumeria locale (in ogni locale ci imbattiamo in cartelli che segnalano di abbassare la voce dopo una certa ora, è una persecuzione!) e infine con l’ingresso nella stanza gocciolante… ma è sempre Mary a bagnarsi!
3 luglio: levataccia! Ci alziamo prestissimo e mettiamo fretta al signore che prepara la colazione perché abbiamo progettato un’escursione in barca a Grado, e nessuno ci può fermare! L’appuntamento è al Molo Audace, con il battello e una scolaresca formata da una ventina di bambini, tanto per ricordarmi che mestiere faccio!
Un’altra giornata di sole strepitoso ci attende: in particolare trascorriamo la mattinata in spiaggia: la costa è bassa, sabbiosa e piena zeppa di paguri. Il pomeriggio è dedicato invece alla visita del borgo antico della città, in particolare delle chiese di S. Eufemia, S. Maria delle Grazie, di epoca paleocristiana, e del lapidario.
Quando torniamo a Trieste è ormai sera e Piazza dell’Unità d’Italia illuminata ha un non so che di magico. A dire il vero siamo illuminate anche noi, perché il sole preso in barca e in spiaggia inizia a farsi sentire con veemenza: sembriamo due luminarie natalizie, per giunta io scotto e vaneggio… buonanotte!

Ma il meglio deve ancora venire. L’ultimo giorno a Trieste ci avventuriamo nella zona del Carso, al confine con la Slovenia, alla scoperta della Grotta Gigante. Si sale su, sempre più su con il bus (il famigerato 42, ma ormai abbiamo imparato la lezione!), si esce fuori dalla città, si arriva quasi al capolinea e poi si prosegue a piedi, in base alle indicazioni fornite da un’anziana signora nella quale ci imbattiamo. Siamo arrivate? Le chiediamo. Non ancora, risponde lei: dovete prendere una viottola, attraversare un passo montano, guadare il fiume, addentrarvi nel bosco lasciando le noci al vostro passaggio per non perdere il sentiero e poi, cammina cammina incontrerete una strega cattiva che vi offrirà una mela avvelenata, ma voi la neutralizzerete con l’unica noce che vi è rimasta in tasca, una noce magica che si trasformerà in un principe azzurro, che la farà innamorare e vivranno per sempre felici e contenti.
Veramente non ci ha detto proprio così, però il senso era quello.
Comunque in qualche modo… eccoci alla Grotta Gigante. Indovinate perché si chiama così? Nell’attesa di entrare e iniziare il percorso con la guida, una ragazza inglese si avvicina a Mary chiedendo di scattare una foto a lei e al resto della sua comitiva. Mary, per tutta risposta, si mette… in posa!
Per fortuna arriva l’accompagnatore e possiamo iniziare il tour della grotta, altrimenti chissà come andava a finire con i sudditi del piccolo Alexander… dunque scendiamo in profondità, sempre più giù, negli abissi più reconditi della terra. Sembra di essere in un romanzo di Verne, oppure nell’Inferno dantesco: insomma, un’esperienza unica!
I gradini (gradoni…) mettono a dura prova le mie gambe, ma vale proprio la pena di ammirare questo spettacolo di stalattiti e stalagmiti: si tratta di una delle grotte più grandi d’Europa e come se nulla fosse ci ritroviamo a più di cento metri di profondità, brrr…
La guida ci racconta la storia della scoperta della grotta, spiegando anche come si è formata questa cattedrale sotterranea, grazie all’erosione e all’azione dell’acqua e del carbonato di calcio. Un lavoro goccia a goccia compiuto dalla natura. Si risale in superficie con un po’ di affanno e un leggero stordimento per lo sbalzo repentino di temperatura. Quindi usciamo a riveder le stelle… anzi il sole! Non c’è niente di meglio che recuperare le energie con un pranzo tipico del Carso, o almeno… il ristoratore del locale vicino alla grotta lo spaccia per tale, ma a me sembra tanto di mangiare una cotoletta alla milanese ripiena di formaggio fuso e prosciutto cotto… boh. Il tizio però afferma con convinzione che questa specie di cordon bleu sia un’autentica specialità locale e insiste per farci prendere qualche altro piatto. Dunque cedo all’insistenza e assaggio un dolce tipico, almeno spero, alle noci.

Tipicità a parte, è ora di rientrare all’hotel Alabarda, ringraziare gli albergatori dell’ospitalità e del servizio, prima di metterci in viaggio. La seconda classe del Frecciarossa ci attende, e qui arrivano le note dolenti, a causa di un mio errore nella prenotazione on line del giorno del treno e a causa di uno zelantissimissimo controllore, il partenopeo Alfonso, che proprio nun ne vò sapè di chiudere un occhio, anche se il biglietto noi l’abbiamo pagato, eccome… anche se il treno è DESERTO… anche se proviamo a prenotare in fretta e furia a pochi minuti dalla partenza tramite smartphone ma trenitalia non lo permette… anche se poi questi gendarmi chiudono un occhio quando a loro fa comodo, si sa. Ma Alfonso è scucciato, e noi… jamm ja… foraggiamo Trenitalia e Fecciarossa.
Il viaggio però si conclude in modo lieto, con una famiglia di egiziani diretti a Milano (anche loro hanno avuto problemi con Trenitalia, ma dai?!) che ci domandano informazioni turistiche sulla metropoli nonché la strada più comoda per raggiungere il loro albergo dalla stazione. E per ringraziare ci donano una pergamena bellissima.
Insomma, per ogni incontro storto, per ogni volta che ti viene imposto di abbassare la voce, c’è sempre una sorpresa, un sorriso più grande, c’è sempre l’azzurro abbraccio del mare.

Questo ho imparato dopo aver conosciuto Trieste, città border line di scrittori e poeti, città capace di spettinarti l’identità con un soffio di vento. Funiculì funiculà

domenica 28 aprile 2013

O SIRMIONE! (la relazioncina)



Puntatina in un borgo senza tempo, tra misteri sacri e profani, scalini – Scaligeri e tanto, tanto… relax alle terme. 26 – 27 aprile 2013!

Altro che pioggia dannunziana nel pineto, Ermione e compagnia bella. «Taci» lo direi alle previsioni del tempo, che annunciano acquazzoni e temporali su tutto in Nord Italia proprio nel fine settimana prescelto da me ed Elena per visitare Sirmione e beneficiare delle sue rinomate terme.

Già alla partenza, infatti, nuvoloni neri si addensano sopra il cielo di Milano, pronti a scatenare l’inferno al primo segnale… io arrivo in largo anticipo in stazione all’appuntamento con la Contessa, che si stupisce del fatto e fiuta strani presagi, mentre ci avviamo al binario 17. Destinazione: Desenzano del Garda.

Da lì, con una buona frequenza, partono i pullman per Sirmione, proprio di fronte alla stazione ferroviaria, dove ci imbattiamo in un’attempata signora dell’est (la zona ne è piena zeppa), la quale ripete insistentemente, con spiccato accento russo, «UOMO-UOMO»: a quanto pare, vorrebbe che attaccassimo bottone con il tizio lì vicino in attesa del bus, chissà poi perché!

Il tempo intanto peggiora e mi rendo conto di aver dimenticato l’ombrello a casa: che disastro! Ma nel frattempo arriviamo allo splendido borgo medievale di Sirmione e ci deliziamo con la vista del castello, dei negozietti, delle vie animatissime, che fanno sembrare questo posto un mix tra un villaggio di mare e il centro storico di una piccola città d’Oltralpe.

Giunte all’hotel Meridiana per depositare i bagagli (Elena ha praticamente portato la casa, io uno zaino…), siamo colpite da tre particolari: una targa all’esterno del grazioso albergo che menziona la Venerabile Benedetta Bianchi Porro, la quale visse proprio qui; lo humour inglese dell’albergatore, che sembra inoltre quasi ipnotizzato da Elena, e infine la mia insolita sbadataggine, poiché mi accorgo di non aver portato con me… il pigiama.

Ma dove ho la testa?

Inizia così un giro di perlustrazione tra le vie della città alla disperata ricerca di un pigiama con tutte le caratteristiche da me richieste, per esempio la coulisse (qui non sanno neppure cosa sia), tra l’ironia dei commercianti e le prime gocce di pioggia che ci accarezzano, mentre Elena non fa altro che assaggiare biscotti della zona, gli zaleti, e io invece riesco a rimediare soltanto una maglietta con sopra la scritta “Sirmione lago di Garda”, rassegnandomi al fatto che quella sarà la mia tenuta notturna.



Intanto è già ora di pranzo: l’osteria “Le vecchie mura” è da segnalare per le ottime bruschette e la cortesia del personale.

L’esplorazione di Sirmione prosegue subito dopo: lasciamo il centro storico per dirigerci verso la punta della penisola, alle grotte di Catullo, che non sono facilissime da raggiungere. Una volta entrate in questo sito archeologico risalente all’epoca del cantore di Lesbia, siamo incantate dalle rovine della villa romana, meravigliosamente incorniciate dal Garda, maestoso come il mare.



Ci sono persino le antiche terme, ma… noi ora andiamo a quelle moderne!




Si tratta della tappa successiva del nostro soggiorno, tanto ormai abbiamo digerito le bruschette e siamo certe che l’esperienza delle piscine curative “Aquaria” sia l’ideale per rilassarsi e rigenerarsi al meglio.

Come no! Entriamo nella struttura e alla cassa veniamo minacciate di non perdere il braccialetto che ci viene consegnato, altrimenti sono cento euro di multa; dopodiché ci fanno entrare, mettendoci ansia perché se si sfora rispetto all’orario sono tre euro in più. Come se non bastasse, entriamo nello spogliatoio, che sembra un girone dell’inferno dantesco (sudo ancora al ricordo): un caldo inaudito, una baraonda di persone che si spogliano e non sanno dove andare, nessun assistente e una corsa senza pietà per accaparrarsi gli accappatoi e la cuffia; in più una ragazza mi chiede se voglio essere sua amica e, una volta in costume, eccoci catapultate verso dei diabolici armadietti dove devi memorizzare il tuo numero se non vuoi perdere gli effetti personali!

Per fortuna le piscine sono davvero benefiche e ricche di proprietà: il percorso kneipp, le vasche ad alta concentrazione di zolfo (l’odore ci accompagnerà durante tutta la permanenza a Sirmione), l’idromassaggio e tante altre attrazioni meritano un encomio.

Peccato solo per l’organizzazione e la mancanza di spiegazioni anche all’interno delle terme: sirmionesi, insomma, datevi una mossa perché rischiate di farvi bagnare il naso dalle terme meneghine di porta romana!

Dopo il benessere, infatti, ricomincia la trafila con: ressa agli armadietti mal funzionanti nonostante il “braccialetto magico”, marachella di Elena che ruba un accappatoio in più (su mio incoraggiamento), lotta epica per conquistare un posto in doccia e ai phon (non “I Phone”)!

A proposito di asciugatura, esco dalle terme rossa come un papavero, mentre Elena, che ci impiega qualche minuto in più, è costretta a pagare i tre euro aggiuntivi solo perché ha i capelli lunghi!


In qualche modo, però, ci siamo rigenerate; così godiamo della serata mite, visitando la zona del castello, inseguendo alcuni gatti che ci portano per caso verso scorci (non sorci!) panoramici suggestivi. Vediamo anche due chiese pregevoli: Santa Maria Maggiore e Sant’Anna, impreziosite da affreschi medievali… una più bella dell’altra! E all’interno di quest’ultima notiamo anche l’effigie della Venerabile, intuendo la sua importanza per questi luoghi.

A cena Elena propone un ristorante super raffinato dedicato a Maria Callas, ma io rifiuto, in nome di un pasto alla buona e rustico; perciò finiamo “Al Portec”, risucchiate dal cameriere rubicondo e ubriaco, il quale, in men che non si dica, ci mette a sedere, facendo anche un sacco di battute non gradite…

Ordino la pizza, abbastanza buona, mentre Elena si vede arrivare cinque ravioli (di numero), il tutto innaffiato da acqua del rubinetto.

Senza dimenticare che alla fine della cena il cameriere vorrebbe chiedere il numero di cellulare alla Contessa, ma «solo perché sono cieco», dice. O forse ciuco??


Rincasiamo percorrendo il viale alberato che porta all’hotel, un po’ poco illuminato a dire il vero, mentre l’aria inizia a diventare più fresca e presaga di copiose piogge…

La mattina del 27 aprile inizia con l’abbondante buffet dell’albergo: facciamo ogni cosa con calma, anche perché fuori diluvia e la visita al Vittoriale di D’Annunzio è destinata a saltare.

Cogliamo quindi l’occasione per domandare al solito albergatore dal sorriso beffardo qualche informazione sulla Venerabile, ma lui risponde in modo fin troppo vago, indirizzandoci verso la stanza, posta al primo piano e visitabile, di Benedetta Bianchi Porro. Io ed Elena siamo sorprese di scoprire che la camera si trova proprio sotto quella in cui abbiamo alloggiato noi; ancora più sorprendente è stato entrare nella stanza, luogo di preghiera, e conoscere meglio la storia di questa ragazza, provata da una dura malattia e morta giovane, che ha consacrato il suo dolore a Dio, compiendo alcuni miracoli riconosciuti dalla Chiesa e lasciando un insegnamento che non può far restare indifferenti.

Su Trip Advisor ci sono addirittura ospiti dell’hotel Meridiana che dichiarano di aver percepito la sua presenza, ma, misteri a parte, l’unica cosa che ci lascia dubbiose è il silenzio sull’argomento da parte degli albergatori, che sembrano reticenti quando poniamo qualche domanda sulla Venerabile e ci mostriamo interessate a conoscere maggiori dettagli sulla sua vita.

Pioggia o no, a ogni modo, dobbiamo uscire e proseguire il nostro tour. A proposito, dato che, come ricorderete, ho dimenticato l’ombrello, ne chiedo sfacciatamente uno all’albergatore, il quale con un sorriso spettrale me ne indica uno, che si rivela una vera e propria ciofeca: appena lo apro pende tutto da una parte ed è mezzo rotto dall’altra, ma a caval donato non si guarda in bocca, e così percorro le viuzze sirmionesi tra gli sguardi divertiti degli altri turisti. Persino Elena se la ride, ma la maledizione dell’ombrello colpirà anche lei!


Dopo aver acquistato qualche pensierino nei negozi (Elena in particolare sembra avere un feeling con il gestore del negozio di profumi), eccoci all’interno del castello. A dire il vero non c’è molto da vedere: tanti camminamenti, scalini-scaligeri da salire e scendere e soprattutto un panorama imperdibile, che comunque non possiamo apprezzare più di tanto a causa della pioggia battente e dell’impaccio provocato dal mio pericolosissimo ombrello scassato, al quale stacco anche qualche pezzo, tanto peggio di così non può andare.

Meglio correre ai ripari: pranzo all’”Hostaria”: più che veneta sembra vagamente napoletana, tuttavia il risotto con gamberetti e crema alla zucca è delizioso. Proprio come il gelato presso la pasticceria “Scaligeri”, da segnalare anche per dolci e dolcetti vari.

All’uscita da quest’ultimo locale, però, Elena non trova più il suo amato ombrello azzurro e viene invitata dai camerieri (e da me) a prenderne un altro quasi uguale, perché forse la persona che ha preso il suo si è confusa.

La Contessa si lamenta durante tutto il percorso dal centro storico all’hotel per la pesantezza dell’ombrello, forse appartenuto a un turista straniero, dato che reca una scritta in sloveno. Secondo google traduttore il significato della frase sibillina è: “non differire, rispetti!”. Che cos’avrà voluto dire la Pizia? È una minaccia?

Elena, alquanto perplessa, si guarda intorno per vedere se qualche turista imbraccia per caso il suo ombrello azzurro; andiamo alla caccia per un bel po’ ma niente da fare.

Una volta varcata la soglia dell’hotel per l’ultima volta, devo restituire quel che resta del “mio” ombrello alla figlia dell’albergatore, e provo persino a proporle di lasciarmelo definitivamente, facendole capire che le faccio solo un favore a portarmi via quel catorcio, giusto per ripararmi dal diluvio incessante, ma lei niente, rifiuta con lo stesso sorriso umoristico del padre, e così ci ritroviamo in due con un ombrello che non è nostro.

L’ultima peripezia consiste nell’affrontare il viaggio in pullman per Desenzano (lo stomaco di Elena è a rischio) e salire sul nostro amato regionale diretto a Milano.

Tanto per cambiare… piove sui nostri volti/ silvani,/ piove sulle nostre mani/ ignude/ sui nostri vestimenti/ leggeri/ sui freschi pensieri/ che l’anima schiude novella,/ su la favola bella/ che ieri/ t’illuse, che oggi m’illude… O Sirmione!

 

sabato 2 marzo 2013

Il capitano: fui pronto a tutte le partenze... cerco un paese innocente


IL CAPITANO

Fui pronto a tutte le partenze.


Quando hai segreti, notte hai pietà.

Se bimbo mi svegliavo

Di soprassalto, mi calmavo udendo

Urlanti nell’assente via,

Cani randagi. Mi parevano

Più del lumino alla Madonna

Che ardeva sempre in quella stanza,

Mistica compagnia.


E non ad un rincorrere

Echi d’innanzi nascita,

Mi sorpresi con cuore, uomo?


Ma quando, notte, il tuo viso fu nudo

E buttato sul sasso

Non fui che fibra d’elementi,

Pazza, palese in ogni oggetto,

Era schiacciante l’umiltà.


Il Capitano era sereno.


(Venne in cielo la luna)


Era alto e mai non si chinava.


(Andava su una nube)


Nessuno lo vide cadere,

Nessuno l’udì rantolare,

Riapparve adagiato in un solco,

Teneva la mani sul petto.


Gli chiusi gli occhi.


(La luna é un velo.)


Parve di piume.


GIROVAGO
In nessuna


Parte


Di terra


Mi posso


Accasare



A ogni

Nuovo

Clima

Che incontro

Mi trovo

Languente

Che

Una volta

Già gli ero stato

Assuefatto





E me ne stacco sempre

Straniero



Nascendo

Tornato da epoche troppo

Vissute



Godere un solo

Minuto di vita

Iniziale

Cerco un paese


Innocente

(Giuseppe Ungaretti)





domenica 17 febbraio 2013

la chimera


io poeta notturno
vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
io per il tuo dolce mistero
io per il tuo divenir taciturno.
(Dino Campana)

mercoledì 9 gennaio 2013

Una meravigliosa pre-recensione

Riporto qui sotto il commento dell'amico Roberto Locati, il quale esprime alcune felicissime impressioni sulla mia raccolta di poesie "Ancora tenterò la mia lira". Si tratta del primo impatto col libro, a lettura non ancora avvenuta: per questo motivo è stata chiamata pre-recensione. Essa si rivolge soprattutto alla bella ed evocativa immagine di copertina, realizzata da suor Luisa Raggi.
Semplicemente grazie, Roberto, per la grande sensibilità e competenza dimostrate. Sei un lettore con la "L" maiuscola!

"E la sorpresa gradevolissima è stata doppia per il pensiero che mi ha portato da parte tua , il bel libro di poesie di Fabiana , che mi ha già intrigato a prima sensazione , per l’intreccio di simpatia che emana, dal cromatismo delicato del bel disegno della copertina , al tipo degli originali caratteri di stampa, sino alla sua foto che rivela un bel viso per di più dotato di un sorriso di gaia simpatia !
Non ho voluto leggere, anche se il desiderio e la curiosità sarebbe intensa, alcuna delle sue poesie, perché dedicherò il giusto tempo e la giusta atmosfera per tale lettura, nelle condizioni ideali per tale esperienza ! Sai che per me la Poesia va assaporata con un certo tipo di intimità ..!
Ritorno a proposito sulla copertina, che ho poi riguardato : è proprio bella , carina , esprime una serenità propria , ed ha una sua certa suggestione quasi naif ; peraltro devi sapere che sono un cultore del Faro , in quanto ipostatica visione simbolica, e quale edificio pregno di una sua aura particolare , di un mistero , così solitario ed indomito, ma che rappresenta pure il desiderio di contaminazione con chi ha bisogno di un granitico e luminoso riferimento .. e poi c’è quella figurina esile e sognante appresso al mare che ben si complementarizza con la rocciosa immobilità del grande Faro stesso, e così sovrastata dalla rassicurante nuvola muliebre che par foriera di brezze favorevoli Anche i pensieri a volte sono brezze o venticelli che portano alla spensieratezza ed al sogno , ed un disegno è un sogno! Poesia anche questa ! Anche il quadretto apparentemente più semplice può portare ad estraniarsi ed a partire per modi immaginari .. come un po’ sto facendo io adesso !
E’ cosa che sperimento ogni tanto, dinanzi ad un’ immagine !
Evidentemente avevo necessità di purezza, se mi sono dilatato un poco in queste riflessioni..."