MATERA ON THE
ROAD
‘Mo me ne vengo con voi…
17-18 luglio
2015
Sasso, forbice
o carta? Sassi! Così risponderemmo io, Sbarby e Giuseppe, protagonisti di un
viaggio insolito e memorabile, anzi direi epico: incuranti del fatto che in
questi giorni è prevista l’ondata di calore più torrida dell’estate, decidiamo
di attraversare la Basilicata, coast quel
che coast, per raggiungere la nostra meta.
Veramente
Giuseppe vorrebbe fermarsi in un agriturismo a Lagonegro, il nostro punto di
partenza, ma io e Sbarby puntiamo con ostinazione ai Sassi roventi.
Così, dopo due
ore e mezza di tragitto in auto, costeggiando la piana di Metaponto e poi
scorgendo le inquietanti cime aguzze delle Dolomiti Lucane, eccoci a
destinazione.
Benvenuti in
quello che Carlo Levi descrisse come un posto pittoresco e impressionante, un
precipizio fatto di imbuti e coni rovesciati che fanno pensare all’Inferno di
Dante.
Benvenuti a
Matera, patrimonio dell’Unesco dal 1993 e capitale della cultura del 2019. E il
termometro segna quaranta gradi!
D’altronde, se
Cristo si è fermato a Eboli, noi no.
Ecco perché
dopo pranzo, mentre Giuseppe si reca in albergo per una fugace pennichella, io
e Sbarby ci mettiamo in cammino sotto il sole infuocato delle tre del
pomeriggio.
In giro non
c’è un cane, anzi a dire il vero uno sì… e meno male: diviene il nostro punto
di riferimento perché ogni volta che lo ritroviamo, capiamo di aver girato in
tondo.
Dinnanzi
all’intrico di vicoletti, case e grotte, persino il nostro spiccato senso
dell’orientamento vacilla. E l’arsura rende ancora più aspre queste strade,
lasciandoci a bocca asciutta. Meno male che a Matera ci sono tante fontane!
Ma, ahinoi,
l’acqua che sgorga da esse è caldissima, quasi bollente…
L’unica
fontanella fresca e invitante viene arrogantemente assaltata da un cane (e sono
due) con il suo padrone, che gli permette di bere, leccare e sbavazzare dappertutto, con grande scorno
mio e di Sbarby.
«Ecco, hai fatto schifare le signore!» esulta poi
l’umano, vedendo che indietreggiamo con aria stizzita.
Ancora assetate, cerchiamo ristoro nell’acquasantiera
di svariate chiese, e proprio in una di queste, San Giovanni Battista, facciamo
un incontro surreale.
Dopo essere entrate chiassosamente (la porta finisce
in faccia a Sbarby perché io sono intenta a farmi il segno della croce),
notiamo una signora di mezza età, all’apparenza assorta in preghiera nella
chiesa vuota.
Non contenta di seguirci con lo sguardo in tutti i
nostri movimenti, a un certo punto si alza e mi apostrofa: «Fate, fate signo’… fate le fotografie!»
Ma io le avrei fatte comunque, anche senza il suo
incoraggiamento.
«Fate, fate… qua non vi dice niente nessuno. Io sto
facendo rilegare il libro sulla chiesa e vi posso dire tutto quello che c’è».
Ma chi gliel’ha chiesto?
«Guardate ‘ste colonne! Là ci sta una Madonna e là ci
sta l’altare!»
Beh, fin qui ci arrivavo anch’io…
«Guardate che vi faccio vedere, guardate qua!»
farnetica, indicando un capitello riccamente decorato. «Qua ogni animale c’ha
una simbologia. E il significato è che ci vogliono dire: non ci ammazziamo noi
tra noi, e perché caspita vi ammazzate voi tra di voi?»
Sempre più perplessa (mentre Sbarby se la ride),
provo ad accomiatarmi più volte da lei, che però mi segue anche all’esterno,
per mostrarmi la facciata.
«Grazie di tutto, signora, ma ora andiamo a visitare
le altre chiese di Matera perché abbiamo poco tempo» le dico.
«Ebbe’, se
volete vi accompagno. ‘Mo me ne vengo pure io con voi!»
A queste parole anche Sbarby ci rimane secca: l’unica
alternativa è depistarla con una finta e lasciare che si allontani mentre noi
imbocchiamo un’altra strada. A caso.
Tanto per cambiare, ci ritroviamo in via Lombardi,
dalle parti del primo cane.
Ah, intanto di Giuseppe nessuna notizia e la caldazza non accenna a scemare!
A spasso per il dedalo materano, chiediamo a più
riprese informazioni per raggiungere una chiesa ipogea, ma lo facciamo a nostro
rischio e pericolo, perché gli indigeni sono accoglienti, amichevoli e fin
troppo loquaci: ogni volta ci sequestrano per almeno mezz’ora parlando del più
e del meno.
Per carità, impariamo tante cose su questo
meraviglioso capoluogo di provincia; tuttavia conveniamo sul fatto che sia
meglio non rivolgere più la parola a nessuno per poter arrivare a San Pietro
Barisano, la più grande chiesa rupestre della zona, dotata di un ambiente
sotterraneo.
Qui avveniva una pratica spaventosa, cioè la
“scolatura” dei cadaveri, e noi ne prendiamo atto, mentre coliamo per il
sudore.
Raggiungiamo piazza XX Settembre giusto in tempo per la
visita guidata, che prende le mosse da piazza del Sedile e ci consente di
ammirare Sasso Barisano (chiamato così perché si affaccia sulla Puglia), Sasso
Caveoso, ancora più “duro” e suggestivo, nonché il nucleo antico, la Civita, in
mezzo ai due rioni.
La vista sul parco archeologico delle chiese rupestri,
immerso nell’arida Murgia, è a dir poco mozzafiato: sembra di essere in mezzo
al nulla, e ben si capisce il perché Mel Gibson e Pasolini abbiano ambientato
in questi luoghi i loro film sulla vita di Gesù.
Qui entriamo in alcuni ambienti ipogei, come San
Nicola dei Greci e altri posti solitari, in cui i monaci basiliani, in fuga
dall’Oriente, hanno trovato rifugio.
Anna, la nostra accompagnatrice, ci guida lungo un
percorso che comincia nel Neolitico e finisce sempre con aneddoti legati alla
sua famiglia. Ma, quel che più conta, al termine della visita, promette una
degustazione di prodotti tipici: mangia sano, mangia lucano.
Speranzose e affamate, ci avviamo alla volta di una
casa-grotta: fino a non molti decenni fa, i contadini vivevano in questi ambienti
umidi e malsani, dividendo le stanze con gli animali. Una vera “vergogna
d’Italia” che non bisogna dimenticare…
Fra gli arredamenti e le suppellettili di una volta,
Sbarby rinviene l’antenato (in pelle di capra?) di Armaduk, il suo inseparabile
giubbone invernale. In una bottega di artigiani, invece, fanno capolino i
fischietti tipici, detti “cucù”, ma anche fantasiosi presepi lavorati nel pane.
A proposito, ma quando arriva l’ora della
degustazione? Sbarby la reclama a gran voce, ottenendola intorno alle 21.00. La
lunga attesa viene però ripagata dal vino Aglianico, dai taralli al finocchio,
per non parlare del pane materano intriso d’olio locale e la crema di
lampascioni. E i peperoni cruschi di Senise, e altro ancora.
Nel frattempo Giuseppe si è svegliato e ci aspetta in
albergo per proseguire la serata insieme. Una serata frizzante, per non dire
“tarantolata”, dato che è in corso la festa della pizzica lucana! Tutta la
piazza si scalza e danza, tranne noi tre, che ci limitiamo a osservare gli strani
personaggi che sbucano tra la folla…
Dopo un breve ma intenso sonno ristoratore, siamo di
nuovo tutti in pista (o tutti in pasta?), diretti alle ultime tappe di questo
tour.
Innanzitutto ci imbattiamo in San Francesco da Paola,
che si trova proprio vicino a casa Natali’, il nostro alloggio, e per ovvi
motivi non poteva mancare!
Quindi alcuni edifici rappresentativi del Barocco
pugliese, per esempio la chiesa del Purgatorio, un tantino macabra e colma di
teschi, ma anche S. Agostino e S. Francesco d’Assisi.
Peccato non essere riuscita a soffermarmi su
quest’ultima chiesa perché, appena vi metto piede, ecco che si palesa la
signora di ieri!
«Andiamo via!» sussurra Sbarby, sudando freddo e
spingendomi fuori.
Dopo aver evitato il peggio, ci dirigiamo verso il
Sasso Caveoso: Santa Maria de Idris (che non ha nulla a che fare con il
celeberrimo tifoso bianconero) e San Giovanni in Monterrone sorgono su uno
sperone di roccia e costituiscono un complesso mirabile per la fusione tra arte
bizantina e occidentale.
Più in là, Santa Maria delle Malve è nota per
l’affresco della Madonna che allatta, in greco Galak qualcosa…
Ok, a Sbarby sovviene in automatico il cioccolato
bianco, perciò vuol dire che è quasi ora di pranzo. A questo punto è d’uopo provare
un piatto povero della tradizione materana: ‘a cialledda, a base di pane, cipolla, pomodoro, mozzarella e
rucola.
Giusto per congedarci da una città che è veramente
difficile descrivere e forse si può solo evocare.
Giusto per rimetterci in viaggio e riattraversare un
pezzettino di quella terra sconfinata che è la Lucania.
Però, ogni percorso reca con sé delle domande, e
pertanto io mi chiedo: ma se neanche gli animali si ammazzano tra loro, perché
gli uomini sì? Che fine avrà fatto Idris dopo “Quelli che il calcio”? E la signora,
sarà riuscita a rilegare il libro??
Anche questa è Matera!