martedì 18 marzo 2008

Le relazioncine storiche: Ferrara e Bologna

Ecco il "guiderdone" per Elena, che ha avuto la meglio su tutti in fatto di citazioni... la pubblicazione di un'antica relazioncina che la celebra, quella dell'indimenticabile gita a Ferrara e Bologna (2001)!! Beh, intanto colgo l'occasione per augurare a tutti BUONA PASQUA!
Faby


SCHIFA LA NOIA! (…schifala!)

Il nostro non è un viaggio di cozze, bensì un cammino iniziatico alla ricerca di noi stesse, e forse sarebbe meglio non tornare, dato che a casa ci attendono i libri, gli esami, gli statini, i cestini in cui gettarli, e tutti quelli a cui avevamo promesso una cartolina, offesi perché non riceveranno mai nulla, armati di sdegno e bastoni per picchiarci.
Il treno è in movimento, e Silvia ancora non si vede: forse è presagio di due giorni sereni? Non azzardiamo pensieri troppo felici: improvvisamente, con uno scatto felino da Varese a Milano, lei è qui, tra noi, e le porte del vagone (di prima classe, ovviamente) si possono chiudere definitivamente.
Il viaggio si preannuncia confortante, anche perché, per scongiurare eventuali dissapori, decido di mostrare il coltello, e tutto sembra procedere per il meglio, finché, dopo aver cambiato il treno a Bologna (città dove nessuno parla bolognese) ci imbattiamo in una vecchietta, sorella illegittima della prof. Mazza Tonucci[1], appartenente al ramo emiliano della famiglia, che si siede vicino a noi, ci parla delle toilette del treno, ma soprattutto ascolta le nostre sane e intelligenti osservazioni sul mondo e sulla vita. La donna non si scorda di noi neppure alla stazione di Ferrara, quando scendiamo: infatti ci segue, poi ci lascia, quindi ancora ricompare, come per magia, armata di valige, chiacchiere e sorrisi, ma noi non ne vogliamo sapere di lei, e anzi giungiamo a inveire contro le letterature comparate, ma a nulla valgono le nostre imprecazioni, perché la signora è sempre lì, a bofonchiare in ferrarese:
«Beh… ma dove state andando? L’uscita della stazione non è da quella parte!»
«Lo sappiamo… noi oggi andiamo alla mostra» (qualcuno osa anche darle corda).
«Ma quella non è la strada per la mostra…»
«Senta, se proprio le interessa, dobbiamo andare in bagno!»
Giunte nel cuore di Ferrara, dove rischiamo più volte di essere investite da numerose biciclette imbizzarrite, pranziamo in un parco, molestate da un cane, e ci avviamo verso Palazzo dei Diamanti, per assistere alla mostra intitolata Da Canaletto a Constable. Il sole è alto (mentre a Milano diluvia) ma noi siamo abbagliate da una luce più potente: ecco i famosi diamanti del palazzo!
«Buongiorno, abbiamo il tesserino di lettere.»
«Non ci interessa: pagate.»
«Ecco, lo sapevo: la solita ingiustizia!»
«… Però poi potete entrare gratis in pinacoteca.»
È impensabile: per la prima volta riusciamo a trarre giovamento dal tesserino universitario, a stento tratteniamo l’emozione… oggi pomeriggio, panini per tutti!
Per quanto mi riguarda, sono talmente allegra che non posso fare a meno di esprimere un po’ di Diod- pensiero davanti ai quadri, interpretando astrusamente le opere, ma nessuna di noi è da meno: infatti, Michela, solo per citarne una, improvvisa un’Annunciazione, che, a sua insaputa, viene proiettata in mondovisione dalle telecamere del museo!
Ma non è possibile concludere il pomeriggio senza aver visto il palazzo di Schifanoja, poiché il nostro fine ultimo è proprio quello di schivarla, un po’ come alla ruota della fortuna, per dirla con Mike Bongiorno. E dunque per un attimo siamo lì, nell’immenso salone con le raffigurazioni dei mesi e dell’oroscopo, come in un sogno… ci scordiamo solo di danzare, e ci rincresce, anche perché eravamo ferrate sui balli provenzali. Ma poco importa: forse ci sarà un’altra occasione, un altro salone… magari alla reggia di Versailles, nostra futura meta, passando per i bronzi di Riace[2].
Le ore e le strade scorrono velocemente quando si canta; così, tra un Vagabondo e un assolo alla Frank Sinatra, ci imbattiamo nell’hotel S. Paolo, dove siamo accolte da un altro dei figli segreti della Mazza Tonucci, che ci dirotta in due sontuose stanze: finalmente posso farmi beffe di qualcuno, la malcapitata Elena in questa occasione, la prima ad aprire l’armadio dove si trovava la sorpresa da me predisposta. In attesa della cena Ida ripassa le strade battute da Bassani[3], che ora ci appartengono pienamente, ma noi abbiamo fame, nessuno ci serve il pasto, pertanto ci precipitiamo verso la bettola più vicina: “l’orso o il gatto bianco”, non ricordo bene… tuttavia sarebbe più appropriato chiamarlo “il cenacolo di Leonardo da Vinci”, data la disposizione a tavola, proprio adatta per un giovedì sera in cui tutti i nostri desideri si possono realizzare. Lo sanno bene coloro che gettano le monete nei fossati dei castelli, magari a braccetto, con le spalle rivolte verso l’acqua, con l’espressione tutta sognante…
Che gente! Io non ci credo e non ho mai osato provare. Forse una mia “amica[4]”…
La sera, dunque, si chiude su questo suggestivo e scenario, tra il castello e il duomo della notturna Ferrara, dove la placida quiete è interrotta soltanto da una dozzina di biciclette che si scontrano, provocando una strage tra i parenti della Mazza Tonucci. I nostri desideri si stanno realizzando; non ci resta che dormire.

Al principio di una lunga e faticosa giornata in cui ci attendono dure prove, durante la colazione in un bar post- moderno, non ci resta che invocare le Pieridi trasformate in Enze[5] (che ci attendono a Milano con tanto di giubbotto arancione) affinché ci resti del tempo per visitare la casa dell’Ariosto, scopo principale del nostro spostamento (veramente interessava a una mia “amica”).
Così, dopo aver visitato il duomo e le segrete del castello in compagnia di alcuni simpatici guagliò napoletani, ci rechiamo nel giardino del museo di arte antica, su cui ovviamente non ci soffermiamo. La struttura ci affascina, tanto che Michela nitrisce un very beatiful per omaggiare l’equina prof. Marchetti[6].
Non ci resta che prendere il treno, Bologna ci attende. Il treno, ancora una volta. Il treno, dove non c’è posto. Dobbiamo pur abituarci, se veramente desideriamo organizzare l’inter- rail in Siberia, passando per Edimburgo.
Intanto Silvia, la scellerata, prende pieno possesso della mia delicata macchina fotografica, che ha il solo difetto di deformare leggermente le figure umane. Ahimè, addio ricordi fissati in uno scatto: è proprio una dilettante, e lo si evince dall’eccessiva capigliatura presente, temo, davanti a ogni fotografia. A Bologna sfoggia il peggio di sé, ma fortunatamente si calma entrando in una chiesa che non avevamo intenzione di vedere: S. Domenico. Qui, inaspettatamente, incontriamo una tregenda di amici in cui non credevamo di imbatterci: Giunta Pisano, qualche pittore medievale, S. Tommaso d’Aquino e infine Dante stesso, che non esitiamo a pestare, ritenendo il gesto propiziatorio[7].
Ancora ebbre a causa dell’acqua del rubinetto (pare che sia potabile), seguitiamo il nostro cammino vagando per il centro storico: Bologna è una città briosa e festante, povera di sodio, ma soprattutto calda e luminosa. Non appena terminiamo di formulare questi pensieri, qualche nuvola inizia a farsi strada nel cielo: è segno di pioggia, è presagio di ritorno a casa.
Abbandoniamo dunque anche l’ultima tappa del nostro viaggio, e l’uggiosa pena del ritorno è fortunatamente alleviata dai nostri progetti futuri, che abbiamo il coraggio di pronunziare a voce alta nel vagone: dal tour della Patagonia ai cavoletti di Bruxelles, ce n’è per tutti i gusti. E poi ci sono i commenti sulla gita ormai volta al termine: «il monumento che personalmente ho preferito è stata la dimora dell’Ariosto[8]» pensa qualcuno, dandosi un tono.
A ogni modo, tutte le strade portano alla stazione Centrale di Milano, e dunque ci separiamo sfiorate da una lieve, quasi impercettibile preoccupazione, che mi inquieta in modo particolare: infatti, quando qualcuno si chiederà chi è quel cane che ha consigliato di bere l’acqua del rubinetto con effetti diuretici, dieretici e ri- lassativi… io non abbaierò!

[1] Docente di Letterature Comparate
[2] Velata allusione ai progetti campati per aria di Elena, la quale medita di organizzare altri viaggi in Provenza, nel Nord dell’Europa, in Siberia e magari anche in Calabria, chissà!
[3] Giorgio Bassani (1916-2000), scrittore
[4] Ebbene, abbiamo tirato la monetina. La nostra “amica” è soltanto un inutile schermo
[5] Invece le Pieridi trasformate in Piche sono citate da Dante (Puragatorio I). Il giubbotto arancione fosforescente è uno dei tratti salienti dell’abbigliamento di Enza
[6] Docente di lingua inglese, dai tratti somatici equini
[7] Veramente abbiamo pestato una lastra sulla quale erano incisi alcuni versi tratti dal Paradiso
[8] Ovviamente non abbiamo avuto tempo per visitare questo illustre monumento

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