Quando ogni semaforo in cui t’imbatti è rouge
Quando vedi tutto noir[1]
Allora non ti resta che intonare...
“Parlami d’amore Marius”
DOLCE E CALDANA. COLLEZIONE ESTATE 2008[2]
Cronaca del viaggio a Parigi e ai castelli della Loira
(14 – 20 luglio 2008)
14/07 MILANO – BEAUNE –BOH?
La nostra novella vaga inizia proprio nel giorno che celebra la ricorrenza della presa della Bastiglia (14 luglio 1789), o della Pastiglia, come direbbe qualcuno[3]... a dire il vero questo tour de France si apre in un clima di totale confusione e incertezza: tanto per cominciare apostrofo la mamma di Silvia e Marzia scambiandola per l’accompagnatrice («scusi, ma lei è la guida della Caldana?»). Poco dopo, io e le altre scopriamo che il pullman pullula di persone dirette ad altre destinazioni, come la Provenza e il Benelux. Sarà il veicolo giusto? Come se non bastasse, non vediamo Michela, e pertanto pensiamo che si sia unita ai gitanti dell’Alsazia e della Lorena. Proprio mentre ce la figuriamo alle prese con lo sbarco in Normandia e la navigazione dei fiordi norvegesi, ecco che la nostra compagna di viaggio viene “raccattata” a Como, decisamente piccata perché reduce da un’attesa di circa un’ora sotto la pioggia battente: adesso sul nostro pullman ci sono soltanto i viandanti del tour di Parigi e dei castelli della Loira, mentre gli altri sono scesi al primo autogrill: si parte!
Conosciamo subito la “vera” accompagnatrice, Michela, da qui in avanti identificata come “Michelle” per non confonderla con la nostra lecchese purosangue. Si chiamava Michelle, ma non era francese[4], direbbe di lei Ungaretti, bensì più toscana che mai, aggiungo io, e infatti la sua amabile gorgia risuonerà lietamente durante questi sette giorni. Innanzitutto ci presenta il nostro “Tirzan”, cioè Marius, l’autista del pullman, per poi paragonarci a 27 angeli che presto spiccheranno il volo sulla Loira.
Il cielo è grigio e fosco, ma Michelle assicura di aver prenotato il bel tempo dal confine in poi, e quasi le crediamo tra un pipì stop[5] e l’altro, dato che un timido sole si sta facendo strada in prossimità del tunnel del San Gottardo.
Intanto conosciamo i vicini di posto sul potente mezzo di trasporto: in particolare la nostra attenzione è catturata da un ragazzo apparentemente innocuo, intento in una colta e raffinata conversazione con un’apparentemente innocua signora di mezza età[6], che si rivelerà ben presto una terribile insegnante in pensione, Wollj (il nome è tutto un programma), in grado di soggiogare chiunque con la sua implacabile parlantina.
«Ma staranno insieme?» ci domandiamo, ignorando le profferte e gli sguardi imploranti aiuto del nostro nuovo amico, Alberto, prima vittima di questo logorroico personaggio.
Il viaggio è ancora lungo, e Michelle non perde occasione di illustrare la storia e le leggende legate alle terre che oltrepassiamo, come quella di Guglielmo Tell, in Svizzera.
«Che cosa vi fa venire in mente l’Alsazia?» ci chiede a bruciapelo, a un certo punto.
«La Lorena!» rispondiamo in coro io e le altre insegnanti di storia, fresche di abilitazione SSIS. Ma la risposta esatta era: «vino».
Tra una sosta e l’altra conosciamo anche Claudia, che si rivela immediatamente una vera esperta in fatto di vincite, concorsi e vacanze – premio, nonché una piacevolissima compagna di tour; quindi arriviamo, in serata, a Beaune, piccola cittadina del nord della Francia, tutta da scoprire.
Beaune. Boh? Che cosa avrà di speciale questo luogo dal nome poco altisonante? Le rotonde, per esempio. Proprio così. Le rotatorie che si percorrono in automobile, volutamente spettacolari e curate in ogni dettaglio dagli abili giardinieri indigeni.
Ma Beaune è soprattutto verde e tranquillità. Ce ne rendiamo conto durante la passeggiata notturna tra le vie del centro. Silvia, in particolare, è alla ricerca di ospizi. E come darle torto? Si tratta dei principali monumenti della città, antiche architetture degne di essere segnalate: nel complesso la visita è gradevole.
15/07 FINALMENTE LOIRA!
Il nostro tour prende le mosse dalla visita al castello di Chambord, ma la Loira è ancora lontana: l’arrivo è previsto per il primo pomeriggio, perché c’è un’intera regione da attraversare (che bel verbo, attraversare!), la Borgogna.
Contempliamo dal finestrino un susseguirsi di paesaggi che ricordano vagamente la Toscana, dolci e collinari, dove dominano il verde dei campi e il bianco delle mucche: la Borgogna rappresenta un sogno di quiete e l’anelito a una vita senza fretta, come puntualizza anche Michelle, spiegando che gli autoctoni sono estranei alla frenesia che caratterizza le grandi città, bensì prediligono le antiche tradizioni e il contatto con la natura: questi borgognoni sanno davvero vivere!
«Ragazzi, ci fermiamo per un pipì stop».
«Ma se siamo appena partiti, ancora non ci scappa!». Povera Michelle... oltre alle nostre seccature, deve far fronte anche a una coppia di signori di mezza età, incapaci di vedere dal finestrino il vischio, tipico di queste zone, che lei puntualmente segnala.
«Ecco il vischio, sulla vostra destra. L’avete visto?». Macchè, quelli si girano dalla parte opposta, e per giunta pretendono che Marius rallenti pericolosamente sull’autostrada per soddisfare la loro curiosità. Comunque, io posso garantirlo: la Borgogna è una regione ricca di vischio, e francamente me ne invischio se loro non ci credono!
Giungiamo al castello di Chambord, non a torto Patrimonio Mondiale dell’Umanità, dopo aver superato un parco immenso, con tanto di foresta e giardini.
Il castello, edificato nel 1519 da Francesco I, che tuttavia vi abitò solo una manciata di giorni per una beffa del destino, è descritto da alcune cifre sbalorditive: 156 metri di lunghezza, 56 di altezza, 426 stanze. È inoltre noto per la scalinata a doppia spirale attribuita a Leonardo da Vinci. Qui, dove tutto è imponente e in grado di soverchiare, ma con estrema armonia, conosciamo il primo “Guido[7]”, bizzarro personaggio, che non si accontenta di narrarci la storia dei luoghi lambiti, ma, nell’intento di coinvolgerci maggiormente, arroga a ognuno di noi dei ruoli ben precisi, legati alle grandi personalità del passato che vissero nei castelli della Loira.
Così, se io sono Caterina de’ Medici, la magnanima sovrana che intervenne in modo cruciale nell’equilibrio delle potenze europee del Cinquecento, mio marito è Enrico II, alias Alberto, figlio un po’ fanfarone di Francesco I. Se non ho capito male, Silvia, la marchesa della Prugna, è mia suocera o giù di lì, mentre Claudia e Marzia rievocano dame avvenenti corteggiate da poeti. Il personaggio più temibile, tuttavia, è quello attribuito a Michela, che impersona Diana di Poitiers, un’astuta cortigiana che non soltanto mette a dura prova il mio matrimonio, ma cerca addirittura di impossessarsi dei miei castelli: aiuto!
Quanti pensieri tormentano l’animo di una gentildonna! Cerco di distrarmi ammirando le nobili fattezze del fiume Loira, che incornicia delicatamente Orléans nell’ora del tramonto. Siamo infatti giunti nella città che diede i natali a Giovanna d’Arco, la pulzella capace di far tremare gli inglesi durante la guerra dei cento anni (1337 – 1453), prima di essere condannata a morte dai suoi stessi connazionali.
E una condanna incombe anche su di noi, disgraziati pulzelli e pulzelle d’Orléans, costretti ad ascoltare sul pullman l’esibizione canora di una signora del gruppo, Wanna[8], che intona una lagna straziante intitolata Amici miei. «Ma chi le ha dato il microfono?» domanda qualcuno. La voce non è male, ma potrebbe cantare qualcosa di più allegro, dato che il pubblico è molto esigente: siamo o non siamo i nobili regnanti di Francia?
16/07 ESPRIT DE NOBLESSE
Oggi è la volta di tre splendidi castelli: Blois, Amboise e Chenonceau. E non solo. È anche arrivato il momento, in albergo, di primo mattino, di burlarsi di Wanna e marito, bloccando ripetutamente le porte dell’ascensore in cui sono entrati, per impedire loro di scendere a colazione.
Alla fine la nostra cantante preferita ha la meglio, e sul pullman, diretti a Blois, non possiamo fare a meno di ascoltare canzoni e barzellette che non fanno ridere, con tanto di spiegazione per chi non le avesse capite («Beh, è finita: a questo punto dovreste ridere...») nonché maldestri tentativi di imitare il dialetto pugliese, che sfociano in un goffo vinculated. Ma è salentino o simple past?
Tutto sommato Wanna ha colto nel segno con i suoi neologismi, perché oggi ci sentiamo tutti più vinculated, cioè amici, spensierati compagni di tragitto colmi di entusiasmo per la giornata che ci attende, tanto che c’è chi vorrebbe aggregarsi alla nostra allegra brigata... non si tratta di Wollj, immancabile dirimpettaia sul pullman, alla quale ormai guardiamo con rassegnata riluttanza, bensì di un’originale dark lady appassionata di manga giapponesi, che soprannominiamo “Ermione”, in parte per conferirle un’aura dannunziana, in parte perché fisicamente ricorda l’attrice che interpreta quel ruolo nei film di Harry Potter.
Alberto la invita a sedersi con noi in “piccionaia”, cioè nei posti in fondo, ma, dopo una fugace conversazione con l’erede di Francesco I, Ermione ci lascia inaspettatamente tornando al suo posto, delusa e crucciata, accantonando definitivamente l’idea di unirsi a noi. Dunque mi chiedo: Alberto, ma che cosa fai tu alle donne?
Dovrei esserne al corrente, dato che al castello di Blois continua la saga matrimoniale di Caterina de’ Medici ed Enrico II, che ci vede protagonisti grazie alle descrizioni e alle improvvisazioni inscenate dal solito Guido, il quale non tace i particolari più sconvenienti legati alla vita privata dei due sovrani.
Blois è anche il castello in cui io, Alberto, Silvia e Marzia perdiamo le tracce del gruppo, a causa di un mio personale vezzo di fronte a uno sfarzoso trono[9], senza troppi rimpianti perché, anche senza Guido, riusciamo a vedere il quadro più famoso del castello, che ritrae una bambina ricoperta da una fittissima peluria, affetta da una grave malattia.[10]
Negli spostamenti tra un castello e l’altro veniamo a sapere che il nostro Guido appartiene a una nobile famiglia francese, fino a poco tempo fa proprietaria di un castello, perso per via di una causa giudiziaria andata male. Si spiegano molte cose: dal tono a tratti stizzito e altezzoso alla conoscenza impressionante di ogni particolare inerente la vita dei sovrani francesi.
Ma eccoci ad Amboise, ultima dimora di Leonardo da Vinci: il gotico fiammeggiante ammirato fino a questo momento cede il passo allo stile italiano rinascimentale, introdotto nella valle della Loira proprio attraverso questa costruzione.
Rivivendo le vicende di quel simpaticone di Carlo VIII e alcuni cruenti episodi legati alle guerre di religione, come la notte di San Bartolomeo (24/08/1572), visitiamo la Sala del Consiglio, gli appartamenti rinascimentali e quelli in stile impero, appartenuti al re Luigi Filippo, per giungere infine al castello dove personalmente ho lasciato il cuore, forse anche perché si tratta di casa mia: signore e signori, benvenuti a Chenonceau, umile dimora di Caterina de’ Medici!
I cortili fiabeschi e sconfinati in cui la diplomatica sovrana intratteneva i più rilevanti uomini politici dell’epoca costituiscono un degno preludio alla pregiata costruzione, all’interno della quale si trova anche, ahimè, l’elegantissima stanza di Diana (ricordate quella donna dai facili costumi?), impreziosita da arazzi. Meritano una visita anche le cucine e la cappella reale.
Che bello essere me! Caterina de’ Medici possedeva un giardino personale, con tanto di fattoria e parco di 70 ettari, l’ideale per chi ama lo sport all’aria aperta.
Ci accomiatiamo a malincuore dalla valle della Loira, che conserva il sapore di antichi cavalieri virtuosi, tesori nascosti di inestimabile valore e nobili beltà: siamo confortati, tuttavia, dal pensiero di mettere piede, l’indomani, in quella che Michelle definisce una città “bruttissima”... Parigi!
17/07 DA CHARTRES ALL’IBIS PRE-ROMANTICO, PASSANDO PER PIGALLE
La cattedrale di Chartres, espressione dello stile gotico più puro, sorge dinanzi a noi in una giornata fresca e nuvolosa, pronta a essere invasa dall’incontenibile gruppo Caldana, con in testa non soltanto la “vecchia guardia”, Michelle e Marius, ma anche il secondo “Guido”, che la stessa accompagnatrice paragona a Mr Bean per i modi buffi e la parlata strampalata, tanto che non si capisce quasi nulla di ciò che dice. Ci fa notare, all’esterno, il campanile romanico che si erge accanto a quello gotico, nonché le stupefacenti sculture che ornano i portali della chiesa.
All’interno, la cupezza medievale carica di fascino e mistero si confonde alla luce delle vetrate e alla solennità delle architetture ogivali. Tra le parti più significative spiccano il labirinto e la vetrata dei segni zodiacali.
Al termine della nostra visita Guido vorrebbe coinvolgerci in una grottesca quadriglia, ma personalmente declino l’invito: non c’è tempo da perdere, si parte per Parigi!
Il pullman entra trionfalmente nella capitale francese, l’antica Lutezia, città in grado di donare emozioni uniche, e ci lascia proprio nei dintorni della torre Eiffel. Un paio d’ore di libertà sono sufficienti per tentare l’ardua salita (al primo piano). In realtà Alberto, Marzia e Silvia non si perdono d’animo, mentre io sono più esitante sul da farsi, ma alla fine li seguo.
D’altronde, penso, se in occasione dell’ultimo derby[11] sono arrivata al terzo anello di corsa, lasciandomi alle spalle orde di interisti inferociti per la mancata festa scudetto, ce la posso fare anche stavolta.
E difatti, in men che non si dica, siamo lassù, dove l’effetto panoramico è impareggiabile e le persone, viste dall’alto, sembrano formiche piccole piccole. Dove una baghette costa quasi sette euro e occorre attendere mezzora in fila per la toilette, ma ne vale la pena. Non conosco al mondo un monumento paragonabile alla torre Eiffel per il suo valore simbolico ed evocativo: altro che ammasso di ferraglia!
Il tour della città prosegue in compagnia di... “Guido III”, che ci conduce all’Hotel des Invalides, a Place de la Concorde, dove un tempo la ghigliottina non faceva troppi complimenti; quindi a Place Vendôme, in cui ha sede il celebre Hotel Ritz (non si tratta, tuttavia, dell’albergo che abbiamo prenotato per stasera, perché siamo destinati al solito Ibis).
Percorriamo anche altri luoghi emblematici, come gli Champ Elyseés, la piazza in cui sorgeva la Bastiglia e il trafficatissimo Arc de Triomphe, dove le vetture si muovono in una danza frenetica e scomposta, scontrandosi sovente. Meno male che Marius è sprezzante del pericolo, e in grado di superare ogni ingorgo, accompagnandoci incolumi all’hotel.
A cena ti aspetti la nouvelle cuisine e invece ti ritrovi le tagliatellè sconditè, evidentemente piatto forte dell’Ibis. Non ci formalizziamo e ingurgitiamo tutto per uscire nuovamente, in vista dell’escursione prevista a bordo del Bateaux Mouches.
La navigazione della Senna, in compagnia di una sguaiata colonia di tredicenni, forse allievi di Michela, ci consente di lambire alcuni punti strategici della città e osservare i monumenti illuminati, come la gotica Conciergerie. L’incanto di Parigi by night, turbato soltanto dalle urla triviali dei giovanissimi turisti, culmina nella meravigliosa visione della torre Eiffel inondata di oro e azzurro[12].
Eppure, la serata non è ancora conclusa. È così arduo rincasare a Parigi... perciò, dopo aver accompagnato alcuni amici del gruppo Caldana al Moulin Rouge, ne approfittiamo per proseguire a piedi verso l’hotel ed esplorare il quartiere di Pigalle.
Il Moulin Rouge si staglia maestoso nel cuore della notte, insieme agli altri locali “caratteristici” della zona, in cui Wollj, incredibile a dirsi, diviene... incontenibile!
Se noi passeggiamo svogliatamente in direzione dell’albergo, scherzando in modo bonario davanti alle vetrine, e anzi Alberto si rifugia candidamente in mezzo a noialtre, Wollj si sofferma a ogni locale e alle discoteche di malaffare, per poi addirittura entrare in un negozio di dubbio gusto a fare acquisti... le strade della perdizione la avvincono a tal punto che in breve la perdiamo di vista, e torniamo in albergo privi della sua presenza.
Ah, noi giovani d’altri tempi: siamo forse più romantici... anzi pre – romantici, dato che il nostro Ibis Montmartre svela ben presto il suo aspetto Sturm und Drang:[13] si affaccia sinistramente sul cimitero di Montmartre, dove sono sepolti artisti, scrittori e grandi uomini del passato.
Così, di notte, ascoltando il verso dell’upupa e quello della derelitta cagna che va ramingando su le fosse e famelica ululando[14], medito di ritagliarmi del tempo, l’indomani, per visitare il sepolcro dell’eccelso poeta Charles Baudelaire, e ispirarmi un po’ come fece Foscolo in Santa Croce...
18/07 “BANFANDO” A MONTMARTRE
A colazione il mio desiderio di visitare il cimitero è alimentato da alcuni turisti italiani che incontro casualmente in albergo.
«Ma come! Non avete ancora visto il cimitero di Montmartre dove è sepolto Baudelaire!» intima in particolare un anziano signore. «Voi della Caldana avete sprecato tempo sulla torre Eiffel e vi siete persi il monumento più importante di tutta Parigi» sentenzia, facendomi sentire gretta e ignorante, mentre i suoi amici assentono col capo, ridacchiando. E così mi riprometto di andare presso la tomba del padre della poesia moderna durante il pomeriggio... millantatori. Ma allora non lo sapevo.
Durante la mattinata ci rechiamo ai Jardin du Luxembourg, passando davanti all’Opéra e alla Sorbonne, università di fama mondiale. Quasi quasi, penso, potrei presentare qui la domanda per il tutorato, dato che il mio mandato in Cattolica è ormai prossimo alla conclusione. E poi, basterebbe una leggera modifica al mio cognome... Sarko... Sarkosi, per avere una super raccomandazione!
Raggiungiamo quindi la Cattedrale di Notre Dame, che costituisce il cuore della città ed è nota per l’equilibrio sublime delle proporzioni. Visitiamo in modo approfondito la chiesa, edificata tra il XII e il XIV secolo, ammirando le meravigliose strutture gotiche, i rosoni e il transetto. Io, Silvia e Marzia non disdegniamo neppure il Museo del Tesoro, che merita una breve visita.
È ora di manducare: che cosa ne dice Silviette di una deliziosa crêpe? Nell’animatissimo quartiere latino troviamo locali di ogni tipo in cui gustare questa pietanza in tutte le salse.
Nel pomeriggio, in seguito a una fugace visita alla chiesa di San Severino, ci ritroviamo con il gruppo al completo per affrontare la salita sulla collina di Montmartre, dove svetta la Basilica del Sacro Cuore... una passeggiata rispetto a quella che abbiamo intrapreso per arrivare sulla torre Eiffel!
A Montmartre è sempre piacevole respirare quell’atmosfera poetica e un po’ malinconica che ci fa sentire ovunque e in nessun luogo. Intrisi della dolcezza delle sue vie, tutt’uno con artisti e bohémien, non dimentichiamo che qui fu girato uno dei film più rappresentativi della nouvelle vague: I cento colpi di Truffault.
Una volta terminata la visita guidata, il nostro gruppetto della “piccionaia” può staccarsi dal resto della comitiva per dirigersi verso il cimitero di Montmartre.
Claudia è perplessa di fronte a questo luogo, che pullula di gatti e di silenzio, nell’ora in cui muore il giorno, ma alla fine entra. Fuori, il clamore della metropoli. Dentro, i felini che si aggirano tra i sepolcri, avvolti da una luce spettrale. E noi, unici visitatori, ignari di ciò che ci aspetta...
Ben presto, infatti, apprendiamo di essere nel cimitero sbagliato, perché, come ci suggerisce il guardiano, Baudelaire si trova a Montparnasse, dall’altra parte della città!
«E allora, i vecchietti di questa mattina, che cosa hanno visto?» si domanda qualcuno. È semplice: hanno banfato, direbbero i miei studenti. Si sono arrampicati sugli specchi per non sfigurare, per non fare scena muta. Che amarezza. Ci consola, tuttavia, la visione delle tombe di Sthendal e Focault, prima del mesto rientro in hotel.
La serata è ancora più triste, perché io, Silvia e Marzia siamo costrette a rinunciare all’escursione alternativa dell’indomani a Disneyland Resort Paris, a causa del tempo incerto, provocando lo scorno di Riccardino, il più giovane membro del gruppo, che si sarebbe volentieri aggregato a noi[15].
Oh mestizia, oh scorno! Per concludere, veniamo a sapere che un signore della comitiva, durante il pomeriggio, non ha per poco scatenato una rissa, minacciando alcuni gallici commercianti, rei di non avergli venduto un francobollo. Va bene che sono francesi, però...
19/07 REGGIA DOLCE REGGIA
Hall dell’Ibis. Mattino presto. «Salve» mi rivolgo al capannello di signori del giorno prima. «Anche noi ieri siamo stati al cimitero di Montmartre, ma ci è sfuggita la tomba di Baudelaire. Dov’è che si trovava esattamente?».
«Ah, beh... era da qualche parte, vicino ad altre tombe, non ricordo bene...». Unghie scivolano rovinosamente sulla parete liscia.
«Ah si? E come era fatta? Era grande o piccola?». Alberto regge il gioco.
«Uhm, bah! Un po’ come tutte le altre, no?» taglia corto il tizio che il giorno prima aveva saccentemente tenuto una lezione sui Fleurs du mal.
Non c’è nulla da fare. Questa è una banfata in piena regola. Una banfata che ha mortificato il senso della mia visita, avvilendo la poesia, l’arte e, perché no, le ragioni più profonde che albergano nell’animo umano.
La desolazione per il fattaccio si smorza notevolmente dinanzi alla reggia di Versailles, capolavoro assoluto, archetipo di un’eleganza superiore e di una grandiosità sconfinata. Non mi riferisco soltanto alla celebre sala degli specchi, dove sarebbe doveroso cimentarsi in un valzer senza tempo, se non fosse per i bellicosi turisti giapponesi che affollano le stanze, ma anche al resto: dagli appartamenti ai giardini, ogni cosa a Versailles è sfarzo, stupore, tripudio di barocco e rococò.
Osserviamo le scale ricordando il recente film dedicato a Maria Antonietta,[16] quella ghiottona che si nutriva di croissant, pasticcini e altre prelibatezze.
Il parco della reggia è un vero e proprio museo en plen air; pertanto decidiamo di percorrerlo sul trenino, perché il tempo a disposizione non è molto. In breve siamo al piccolo Trianon, il villaggio di Maria Antonietta, dono di Luigi XVI, il quale, secondo gli storici, si rivolse alla consorte in questo modo: «Voi amate i fiori: ebbene, ho un mazzolino da offrirvi... è questo piccolo Trianon». Beh, ora che ci penso, anche a me piacciono i fiori...
Il trenino effettua una fermata proprio nei dintorni del piccolo Trianon, e lì accade l’irreparabile: tra i passeggeri sale anche Wollj, sbucata da chissà dove.
Cerchiamo in ogni modo di non farci vedere, confondendoci ai giapponesi, ma i nostri sforzi sono vanificati dalla sua attenzione sempre vigile: Wollj ci vede e si siede accanto a noi, cercando a tutti i costi di intavolare una discussione.
E allora ecco che Michela guarda nel vuoto, io parlo con Marzia, Claudia finge di dormire, Alberto gioca col cellulare, e Silvia ha una grande idea: «Perché non scendiamo alla prossima fermata e ce la facciamo a piedi fino al pullman?». Scaltra Silviette. Come Arsenio Lupin. Ma non è sufficiente. Wollj ci segue giù dal trenino, e, sconfitti, ci dirigiamo controvoglia e tutti insieme verso il pullman.
Il tragitto non è breve, dobbiamo allungare il passo senza perderci di vista, ma, quando meno te l’aspetti, Wollj sparisce misteriosamente. Ci giriamo e non la vediamo più. La aspettiamo qualche minuto, ma si è fatto davvero tardi: a quest’ora Michelle starà scalpitando davanti al pullman. Così perveniamo al luogo dell’appuntamento e allertiamo la nostra accompagnatrice. Di Wollj neanche l’ombra.
Tutti si mobilitano: Michelle cerca di mettersi sulle sue tracce, Wanna vorrebbe intonare un canto di incoraggiamento, Marius spegne definitivamente il motore, Alberto azzanna una baghette, quando ecco che Wollj, accompagnata dal boato di sollievo dei presenti, si palesa davanti al pullman.
Per giunta è furente, perché, a sua detta, non l’avremmo aspettata, quando lei aveva annunciato (?) che stava deviando per andare a procurarsi un depliant su Versailles.
«E non sono neanche riuscita a trovarlo, il depliant!» sbotta, visibilmente incollerita, accusandoci in modo spropositato: tanto per cominciare non ha avvisato nessuno dell’inopportuna deviazione, e comunque l’abbiamo attesa per un po’... insomma, Wollj, comprendiamo benissimo lo spavento per la situazione, ma non è possibile prendersela in questo modo per un banale malinteso...
E poi, sul pullman, Silvia compie anche un nobile gesto, degno di un moschettiere del re, cedendole il proprio depliant. A questo punto Wollj è contenta e la pace ristabilita.
Ci rechiamo dunque al Louvre, che vediamo soltanto dall’esterno, e poi organizziamo il nostro pomeriggio libero. La prima meta è la Saint Chapelle, uno dei massimi capolavori che l’arte occidentale abbia prodotto.
Il monumento si trova nel Palazzo della Cité, che comprende anche la Conciergerie, e attualmente è sede del Palazzo di Giustizia. Edificata tra il 1242 e il 1248, aveva un’importante funzione religiosa perché doveva ospitare le reliquie della Passione di Gesù.
Ora mi chiedo: se hanno impiegato solo pochi anni per realizzare il monumento più emblematico del gotico fiorito, perché oggi gli operai ci mettono una vita per ristrutturare la facciata di casa mia? Dubbi destinati a rimanere irrisolti.
Attendiamo a lungo in fila con l’immancabile baghette prima di raggiungere la cassa.
Gli altri non hanno diritto neppure alla tariffa ridotta, mentre io riesco addirittura a entrare gratis, spacciandomi per una cultrice – assistente di storia dell’arte, ed esibendo il tesserino SSIS, per nulla pertinente, accompagnato da qualche citazione erudita. La bigliettaia, stremata, è costretta a cedere.
Zero euro, ma ne valeva la pena. Scherzi a parte... entrare nella Saint Chapelle è davvero emozionante. Sarà per le splendide architetture, sarà per l’azzurro delle volte o per le antichissime pitture murali della cappella inferiore, sarà per lo stupore che si prova quando si accede alla cappella superiore, magnificamente arricchita di vetrate, realizzate apposta per dare l’impressione di raggiungere la Gerusalemme Celeste, in un tripudio di luce e colore, ma questo è il mio posto preferito a Parigi, insieme a Montmartre.
Dopodiché ci avviamo a Saint German de Prés, una chiesa romanica che vanta il più antico campanile di Parigi, nonché cappelle dedicate a Sant’Anna e Santa Genoveffa. Da quella zona, per tornare nel nostro Ibis, dobbiamo servirci della metropolitana. Si tratta di un’esperienza sconcertante, perché restiamo schiacciati come sardine per almeno una decina di fermate, in preda a una folla di francesi frenetici e pronti a sgomitare qua e là. Sarebbe alquanto sconveniente se in questo momento ricordassi loro che la nazionale italiana ha sconfitto i bleu agli ultimi europei di calcio, oltre al famigerato trionfo ai mondiali del 2006, ne convengo, e non vedo l’ora di tornare in superficie, quasi rimpiangendo la metrò milanese, “Cadorna fermata Cadorna” e tutto il resto.
A cena vengono minacciosamente vaticinati gli escargot, che vorrei provare per sentirmi un po’ Pretty woman, ma lo spauracchio si risolve in un nulla di fatto, e dunque non resta che recarci a Montmartre per una passeggiata notturna: siamo ancora in tempo per colmarci gli occhi di questa meravigliosa città, perché la vista dalla Basilica del Sacro Cuore abbraccia tutta Parigi, ed è incorniciata da una luna piena, che si staglia benevola ed eloquente sulla nostra ultima serata francese. Adieu.
20/07 VINCULATED FINO ALLA FINE!
La giornata del riluttante rientro in Italia comincia presto, molto presto, prestissimo... troppo presto. Quando si affronta un viaggio così lungo e impervio, è d’uopo levarsi di buon mattino, sebbene l’intontimento generale non giovi alla nostra lucidità: ecco perché io e Claudia, dopo aver caricato i bagagli sul pullman, ci avviamo a fare colazione nell’hotel sbagliato, sotto gli occhi beffardi e soddisfatti di Wollj, che negli ultimi tempi ci ha preso un po’ in antipatia.
Per fortuna c’è Michelle, sempre pronta a riportarci sulla retta via, a contare le persone per essere sicura che non manchi nessuno e a occuparsi di qualche signora che, ahimè, soffre il pullman (o forse gli strilli di Wanna?). Che voto le diamo? Pour me the same![17]
Come in un sogno ormai prossimo al risveglio, ci scorrono accanto paesaggi sempre vari e numerose città: Vezelay, famosa per la sua abbazia, Fontainbleu, in cui sorge un importante castello, e Basilea, località svizzera molto interessante.
Verso sera arriviamo a Milano. Ci siamo. Altro che brioches. Quando non avremo pane, mangeremo il panettone[18], ma ci sarà una prossima volta in Francia, ne sono sicura. Magari per assaggiare la tarte Tatin, oppure per andare a vivere nell’accogliente Borgogna come Russel Crowe, protagonista del film Una splendida annata, che abbiamo visto durante il tragitto.
Tanto torneremo. Magari anche solo per entrare nel cimitero “giusto”, a dispetto di tutte le banfate che odorano di lapsus freudiani. Ci sarà un’altra occasione. Tanto ci vediamo da Marius prima o poi[19].
Quando vedi tutto noir[1]
Allora non ti resta che intonare...
“Parlami d’amore Marius”
DOLCE E CALDANA. COLLEZIONE ESTATE 2008[2]
Cronaca del viaggio a Parigi e ai castelli della Loira
(14 – 20 luglio 2008)
14/07 MILANO – BEAUNE –BOH?
La nostra novella vaga inizia proprio nel giorno che celebra la ricorrenza della presa della Bastiglia (14 luglio 1789), o della Pastiglia, come direbbe qualcuno[3]... a dire il vero questo tour de France si apre in un clima di totale confusione e incertezza: tanto per cominciare apostrofo la mamma di Silvia e Marzia scambiandola per l’accompagnatrice («scusi, ma lei è la guida della Caldana?»). Poco dopo, io e le altre scopriamo che il pullman pullula di persone dirette ad altre destinazioni, come la Provenza e il Benelux. Sarà il veicolo giusto? Come se non bastasse, non vediamo Michela, e pertanto pensiamo che si sia unita ai gitanti dell’Alsazia e della Lorena. Proprio mentre ce la figuriamo alle prese con lo sbarco in Normandia e la navigazione dei fiordi norvegesi, ecco che la nostra compagna di viaggio viene “raccattata” a Como, decisamente piccata perché reduce da un’attesa di circa un’ora sotto la pioggia battente: adesso sul nostro pullman ci sono soltanto i viandanti del tour di Parigi e dei castelli della Loira, mentre gli altri sono scesi al primo autogrill: si parte!
Conosciamo subito la “vera” accompagnatrice, Michela, da qui in avanti identificata come “Michelle” per non confonderla con la nostra lecchese purosangue. Si chiamava Michelle, ma non era francese[4], direbbe di lei Ungaretti, bensì più toscana che mai, aggiungo io, e infatti la sua amabile gorgia risuonerà lietamente durante questi sette giorni. Innanzitutto ci presenta il nostro “Tirzan”, cioè Marius, l’autista del pullman, per poi paragonarci a 27 angeli che presto spiccheranno il volo sulla Loira.
Il cielo è grigio e fosco, ma Michelle assicura di aver prenotato il bel tempo dal confine in poi, e quasi le crediamo tra un pipì stop[5] e l’altro, dato che un timido sole si sta facendo strada in prossimità del tunnel del San Gottardo.
Intanto conosciamo i vicini di posto sul potente mezzo di trasporto: in particolare la nostra attenzione è catturata da un ragazzo apparentemente innocuo, intento in una colta e raffinata conversazione con un’apparentemente innocua signora di mezza età[6], che si rivelerà ben presto una terribile insegnante in pensione, Wollj (il nome è tutto un programma), in grado di soggiogare chiunque con la sua implacabile parlantina.
«Ma staranno insieme?» ci domandiamo, ignorando le profferte e gli sguardi imploranti aiuto del nostro nuovo amico, Alberto, prima vittima di questo logorroico personaggio.
Il viaggio è ancora lungo, e Michelle non perde occasione di illustrare la storia e le leggende legate alle terre che oltrepassiamo, come quella di Guglielmo Tell, in Svizzera.
«Che cosa vi fa venire in mente l’Alsazia?» ci chiede a bruciapelo, a un certo punto.
«La Lorena!» rispondiamo in coro io e le altre insegnanti di storia, fresche di abilitazione SSIS. Ma la risposta esatta era: «vino».
Tra una sosta e l’altra conosciamo anche Claudia, che si rivela immediatamente una vera esperta in fatto di vincite, concorsi e vacanze – premio, nonché una piacevolissima compagna di tour; quindi arriviamo, in serata, a Beaune, piccola cittadina del nord della Francia, tutta da scoprire.
Beaune. Boh? Che cosa avrà di speciale questo luogo dal nome poco altisonante? Le rotonde, per esempio. Proprio così. Le rotatorie che si percorrono in automobile, volutamente spettacolari e curate in ogni dettaglio dagli abili giardinieri indigeni.
Ma Beaune è soprattutto verde e tranquillità. Ce ne rendiamo conto durante la passeggiata notturna tra le vie del centro. Silvia, in particolare, è alla ricerca di ospizi. E come darle torto? Si tratta dei principali monumenti della città, antiche architetture degne di essere segnalate: nel complesso la visita è gradevole.
15/07 FINALMENTE LOIRA!
Il nostro tour prende le mosse dalla visita al castello di Chambord, ma la Loira è ancora lontana: l’arrivo è previsto per il primo pomeriggio, perché c’è un’intera regione da attraversare (che bel verbo, attraversare!), la Borgogna.
Contempliamo dal finestrino un susseguirsi di paesaggi che ricordano vagamente la Toscana, dolci e collinari, dove dominano il verde dei campi e il bianco delle mucche: la Borgogna rappresenta un sogno di quiete e l’anelito a una vita senza fretta, come puntualizza anche Michelle, spiegando che gli autoctoni sono estranei alla frenesia che caratterizza le grandi città, bensì prediligono le antiche tradizioni e il contatto con la natura: questi borgognoni sanno davvero vivere!
«Ragazzi, ci fermiamo per un pipì stop».
«Ma se siamo appena partiti, ancora non ci scappa!». Povera Michelle... oltre alle nostre seccature, deve far fronte anche a una coppia di signori di mezza età, incapaci di vedere dal finestrino il vischio, tipico di queste zone, che lei puntualmente segnala.
«Ecco il vischio, sulla vostra destra. L’avete visto?». Macchè, quelli si girano dalla parte opposta, e per giunta pretendono che Marius rallenti pericolosamente sull’autostrada per soddisfare la loro curiosità. Comunque, io posso garantirlo: la Borgogna è una regione ricca di vischio, e francamente me ne invischio se loro non ci credono!
Giungiamo al castello di Chambord, non a torto Patrimonio Mondiale dell’Umanità, dopo aver superato un parco immenso, con tanto di foresta e giardini.
Il castello, edificato nel 1519 da Francesco I, che tuttavia vi abitò solo una manciata di giorni per una beffa del destino, è descritto da alcune cifre sbalorditive: 156 metri di lunghezza, 56 di altezza, 426 stanze. È inoltre noto per la scalinata a doppia spirale attribuita a Leonardo da Vinci. Qui, dove tutto è imponente e in grado di soverchiare, ma con estrema armonia, conosciamo il primo “Guido[7]”, bizzarro personaggio, che non si accontenta di narrarci la storia dei luoghi lambiti, ma, nell’intento di coinvolgerci maggiormente, arroga a ognuno di noi dei ruoli ben precisi, legati alle grandi personalità del passato che vissero nei castelli della Loira.
Così, se io sono Caterina de’ Medici, la magnanima sovrana che intervenne in modo cruciale nell’equilibrio delle potenze europee del Cinquecento, mio marito è Enrico II, alias Alberto, figlio un po’ fanfarone di Francesco I. Se non ho capito male, Silvia, la marchesa della Prugna, è mia suocera o giù di lì, mentre Claudia e Marzia rievocano dame avvenenti corteggiate da poeti. Il personaggio più temibile, tuttavia, è quello attribuito a Michela, che impersona Diana di Poitiers, un’astuta cortigiana che non soltanto mette a dura prova il mio matrimonio, ma cerca addirittura di impossessarsi dei miei castelli: aiuto!
Quanti pensieri tormentano l’animo di una gentildonna! Cerco di distrarmi ammirando le nobili fattezze del fiume Loira, che incornicia delicatamente Orléans nell’ora del tramonto. Siamo infatti giunti nella città che diede i natali a Giovanna d’Arco, la pulzella capace di far tremare gli inglesi durante la guerra dei cento anni (1337 – 1453), prima di essere condannata a morte dai suoi stessi connazionali.
E una condanna incombe anche su di noi, disgraziati pulzelli e pulzelle d’Orléans, costretti ad ascoltare sul pullman l’esibizione canora di una signora del gruppo, Wanna[8], che intona una lagna straziante intitolata Amici miei. «Ma chi le ha dato il microfono?» domanda qualcuno. La voce non è male, ma potrebbe cantare qualcosa di più allegro, dato che il pubblico è molto esigente: siamo o non siamo i nobili regnanti di Francia?
16/07 ESPRIT DE NOBLESSE
Oggi è la volta di tre splendidi castelli: Blois, Amboise e Chenonceau. E non solo. È anche arrivato il momento, in albergo, di primo mattino, di burlarsi di Wanna e marito, bloccando ripetutamente le porte dell’ascensore in cui sono entrati, per impedire loro di scendere a colazione.
Alla fine la nostra cantante preferita ha la meglio, e sul pullman, diretti a Blois, non possiamo fare a meno di ascoltare canzoni e barzellette che non fanno ridere, con tanto di spiegazione per chi non le avesse capite («Beh, è finita: a questo punto dovreste ridere...») nonché maldestri tentativi di imitare il dialetto pugliese, che sfociano in un goffo vinculated. Ma è salentino o simple past?
Tutto sommato Wanna ha colto nel segno con i suoi neologismi, perché oggi ci sentiamo tutti più vinculated, cioè amici, spensierati compagni di tragitto colmi di entusiasmo per la giornata che ci attende, tanto che c’è chi vorrebbe aggregarsi alla nostra allegra brigata... non si tratta di Wollj, immancabile dirimpettaia sul pullman, alla quale ormai guardiamo con rassegnata riluttanza, bensì di un’originale dark lady appassionata di manga giapponesi, che soprannominiamo “Ermione”, in parte per conferirle un’aura dannunziana, in parte perché fisicamente ricorda l’attrice che interpreta quel ruolo nei film di Harry Potter.
Alberto la invita a sedersi con noi in “piccionaia”, cioè nei posti in fondo, ma, dopo una fugace conversazione con l’erede di Francesco I, Ermione ci lascia inaspettatamente tornando al suo posto, delusa e crucciata, accantonando definitivamente l’idea di unirsi a noi. Dunque mi chiedo: Alberto, ma che cosa fai tu alle donne?
Dovrei esserne al corrente, dato che al castello di Blois continua la saga matrimoniale di Caterina de’ Medici ed Enrico II, che ci vede protagonisti grazie alle descrizioni e alle improvvisazioni inscenate dal solito Guido, il quale non tace i particolari più sconvenienti legati alla vita privata dei due sovrani.
Blois è anche il castello in cui io, Alberto, Silvia e Marzia perdiamo le tracce del gruppo, a causa di un mio personale vezzo di fronte a uno sfarzoso trono[9], senza troppi rimpianti perché, anche senza Guido, riusciamo a vedere il quadro più famoso del castello, che ritrae una bambina ricoperta da una fittissima peluria, affetta da una grave malattia.[10]
Negli spostamenti tra un castello e l’altro veniamo a sapere che il nostro Guido appartiene a una nobile famiglia francese, fino a poco tempo fa proprietaria di un castello, perso per via di una causa giudiziaria andata male. Si spiegano molte cose: dal tono a tratti stizzito e altezzoso alla conoscenza impressionante di ogni particolare inerente la vita dei sovrani francesi.
Ma eccoci ad Amboise, ultima dimora di Leonardo da Vinci: il gotico fiammeggiante ammirato fino a questo momento cede il passo allo stile italiano rinascimentale, introdotto nella valle della Loira proprio attraverso questa costruzione.
Rivivendo le vicende di quel simpaticone di Carlo VIII e alcuni cruenti episodi legati alle guerre di religione, come la notte di San Bartolomeo (24/08/1572), visitiamo la Sala del Consiglio, gli appartamenti rinascimentali e quelli in stile impero, appartenuti al re Luigi Filippo, per giungere infine al castello dove personalmente ho lasciato il cuore, forse anche perché si tratta di casa mia: signore e signori, benvenuti a Chenonceau, umile dimora di Caterina de’ Medici!
I cortili fiabeschi e sconfinati in cui la diplomatica sovrana intratteneva i più rilevanti uomini politici dell’epoca costituiscono un degno preludio alla pregiata costruzione, all’interno della quale si trova anche, ahimè, l’elegantissima stanza di Diana (ricordate quella donna dai facili costumi?), impreziosita da arazzi. Meritano una visita anche le cucine e la cappella reale.
Che bello essere me! Caterina de’ Medici possedeva un giardino personale, con tanto di fattoria e parco di 70 ettari, l’ideale per chi ama lo sport all’aria aperta.
Ci accomiatiamo a malincuore dalla valle della Loira, che conserva il sapore di antichi cavalieri virtuosi, tesori nascosti di inestimabile valore e nobili beltà: siamo confortati, tuttavia, dal pensiero di mettere piede, l’indomani, in quella che Michelle definisce una città “bruttissima”... Parigi!
17/07 DA CHARTRES ALL’IBIS PRE-ROMANTICO, PASSANDO PER PIGALLE
La cattedrale di Chartres, espressione dello stile gotico più puro, sorge dinanzi a noi in una giornata fresca e nuvolosa, pronta a essere invasa dall’incontenibile gruppo Caldana, con in testa non soltanto la “vecchia guardia”, Michelle e Marius, ma anche il secondo “Guido”, che la stessa accompagnatrice paragona a Mr Bean per i modi buffi e la parlata strampalata, tanto che non si capisce quasi nulla di ciò che dice. Ci fa notare, all’esterno, il campanile romanico che si erge accanto a quello gotico, nonché le stupefacenti sculture che ornano i portali della chiesa.
All’interno, la cupezza medievale carica di fascino e mistero si confonde alla luce delle vetrate e alla solennità delle architetture ogivali. Tra le parti più significative spiccano il labirinto e la vetrata dei segni zodiacali.
Al termine della nostra visita Guido vorrebbe coinvolgerci in una grottesca quadriglia, ma personalmente declino l’invito: non c’è tempo da perdere, si parte per Parigi!
Il pullman entra trionfalmente nella capitale francese, l’antica Lutezia, città in grado di donare emozioni uniche, e ci lascia proprio nei dintorni della torre Eiffel. Un paio d’ore di libertà sono sufficienti per tentare l’ardua salita (al primo piano). In realtà Alberto, Marzia e Silvia non si perdono d’animo, mentre io sono più esitante sul da farsi, ma alla fine li seguo.
D’altronde, penso, se in occasione dell’ultimo derby[11] sono arrivata al terzo anello di corsa, lasciandomi alle spalle orde di interisti inferociti per la mancata festa scudetto, ce la posso fare anche stavolta.
E difatti, in men che non si dica, siamo lassù, dove l’effetto panoramico è impareggiabile e le persone, viste dall’alto, sembrano formiche piccole piccole. Dove una baghette costa quasi sette euro e occorre attendere mezzora in fila per la toilette, ma ne vale la pena. Non conosco al mondo un monumento paragonabile alla torre Eiffel per il suo valore simbolico ed evocativo: altro che ammasso di ferraglia!
Il tour della città prosegue in compagnia di... “Guido III”, che ci conduce all’Hotel des Invalides, a Place de la Concorde, dove un tempo la ghigliottina non faceva troppi complimenti; quindi a Place Vendôme, in cui ha sede il celebre Hotel Ritz (non si tratta, tuttavia, dell’albergo che abbiamo prenotato per stasera, perché siamo destinati al solito Ibis).
Percorriamo anche altri luoghi emblematici, come gli Champ Elyseés, la piazza in cui sorgeva la Bastiglia e il trafficatissimo Arc de Triomphe, dove le vetture si muovono in una danza frenetica e scomposta, scontrandosi sovente. Meno male che Marius è sprezzante del pericolo, e in grado di superare ogni ingorgo, accompagnandoci incolumi all’hotel.
A cena ti aspetti la nouvelle cuisine e invece ti ritrovi le tagliatellè sconditè, evidentemente piatto forte dell’Ibis. Non ci formalizziamo e ingurgitiamo tutto per uscire nuovamente, in vista dell’escursione prevista a bordo del Bateaux Mouches.
La navigazione della Senna, in compagnia di una sguaiata colonia di tredicenni, forse allievi di Michela, ci consente di lambire alcuni punti strategici della città e osservare i monumenti illuminati, come la gotica Conciergerie. L’incanto di Parigi by night, turbato soltanto dalle urla triviali dei giovanissimi turisti, culmina nella meravigliosa visione della torre Eiffel inondata di oro e azzurro[12].
Eppure, la serata non è ancora conclusa. È così arduo rincasare a Parigi... perciò, dopo aver accompagnato alcuni amici del gruppo Caldana al Moulin Rouge, ne approfittiamo per proseguire a piedi verso l’hotel ed esplorare il quartiere di Pigalle.
Il Moulin Rouge si staglia maestoso nel cuore della notte, insieme agli altri locali “caratteristici” della zona, in cui Wollj, incredibile a dirsi, diviene... incontenibile!
Se noi passeggiamo svogliatamente in direzione dell’albergo, scherzando in modo bonario davanti alle vetrine, e anzi Alberto si rifugia candidamente in mezzo a noialtre, Wollj si sofferma a ogni locale e alle discoteche di malaffare, per poi addirittura entrare in un negozio di dubbio gusto a fare acquisti... le strade della perdizione la avvincono a tal punto che in breve la perdiamo di vista, e torniamo in albergo privi della sua presenza.
Ah, noi giovani d’altri tempi: siamo forse più romantici... anzi pre – romantici, dato che il nostro Ibis Montmartre svela ben presto il suo aspetto Sturm und Drang:[13] si affaccia sinistramente sul cimitero di Montmartre, dove sono sepolti artisti, scrittori e grandi uomini del passato.
Così, di notte, ascoltando il verso dell’upupa e quello della derelitta cagna che va ramingando su le fosse e famelica ululando[14], medito di ritagliarmi del tempo, l’indomani, per visitare il sepolcro dell’eccelso poeta Charles Baudelaire, e ispirarmi un po’ come fece Foscolo in Santa Croce...
18/07 “BANFANDO” A MONTMARTRE
A colazione il mio desiderio di visitare il cimitero è alimentato da alcuni turisti italiani che incontro casualmente in albergo.
«Ma come! Non avete ancora visto il cimitero di Montmartre dove è sepolto Baudelaire!» intima in particolare un anziano signore. «Voi della Caldana avete sprecato tempo sulla torre Eiffel e vi siete persi il monumento più importante di tutta Parigi» sentenzia, facendomi sentire gretta e ignorante, mentre i suoi amici assentono col capo, ridacchiando. E così mi riprometto di andare presso la tomba del padre della poesia moderna durante il pomeriggio... millantatori. Ma allora non lo sapevo.
Durante la mattinata ci rechiamo ai Jardin du Luxembourg, passando davanti all’Opéra e alla Sorbonne, università di fama mondiale. Quasi quasi, penso, potrei presentare qui la domanda per il tutorato, dato che il mio mandato in Cattolica è ormai prossimo alla conclusione. E poi, basterebbe una leggera modifica al mio cognome... Sarko... Sarkosi, per avere una super raccomandazione!
Raggiungiamo quindi la Cattedrale di Notre Dame, che costituisce il cuore della città ed è nota per l’equilibrio sublime delle proporzioni. Visitiamo in modo approfondito la chiesa, edificata tra il XII e il XIV secolo, ammirando le meravigliose strutture gotiche, i rosoni e il transetto. Io, Silvia e Marzia non disdegniamo neppure il Museo del Tesoro, che merita una breve visita.
È ora di manducare: che cosa ne dice Silviette di una deliziosa crêpe? Nell’animatissimo quartiere latino troviamo locali di ogni tipo in cui gustare questa pietanza in tutte le salse.
Nel pomeriggio, in seguito a una fugace visita alla chiesa di San Severino, ci ritroviamo con il gruppo al completo per affrontare la salita sulla collina di Montmartre, dove svetta la Basilica del Sacro Cuore... una passeggiata rispetto a quella che abbiamo intrapreso per arrivare sulla torre Eiffel!
A Montmartre è sempre piacevole respirare quell’atmosfera poetica e un po’ malinconica che ci fa sentire ovunque e in nessun luogo. Intrisi della dolcezza delle sue vie, tutt’uno con artisti e bohémien, non dimentichiamo che qui fu girato uno dei film più rappresentativi della nouvelle vague: I cento colpi di Truffault.
Una volta terminata la visita guidata, il nostro gruppetto della “piccionaia” può staccarsi dal resto della comitiva per dirigersi verso il cimitero di Montmartre.
Claudia è perplessa di fronte a questo luogo, che pullula di gatti e di silenzio, nell’ora in cui muore il giorno, ma alla fine entra. Fuori, il clamore della metropoli. Dentro, i felini che si aggirano tra i sepolcri, avvolti da una luce spettrale. E noi, unici visitatori, ignari di ciò che ci aspetta...
Ben presto, infatti, apprendiamo di essere nel cimitero sbagliato, perché, come ci suggerisce il guardiano, Baudelaire si trova a Montparnasse, dall’altra parte della città!
«E allora, i vecchietti di questa mattina, che cosa hanno visto?» si domanda qualcuno. È semplice: hanno banfato, direbbero i miei studenti. Si sono arrampicati sugli specchi per non sfigurare, per non fare scena muta. Che amarezza. Ci consola, tuttavia, la visione delle tombe di Sthendal e Focault, prima del mesto rientro in hotel.
La serata è ancora più triste, perché io, Silvia e Marzia siamo costrette a rinunciare all’escursione alternativa dell’indomani a Disneyland Resort Paris, a causa del tempo incerto, provocando lo scorno di Riccardino, il più giovane membro del gruppo, che si sarebbe volentieri aggregato a noi[15].
Oh mestizia, oh scorno! Per concludere, veniamo a sapere che un signore della comitiva, durante il pomeriggio, non ha per poco scatenato una rissa, minacciando alcuni gallici commercianti, rei di non avergli venduto un francobollo. Va bene che sono francesi, però...
19/07 REGGIA DOLCE REGGIA
Hall dell’Ibis. Mattino presto. «Salve» mi rivolgo al capannello di signori del giorno prima. «Anche noi ieri siamo stati al cimitero di Montmartre, ma ci è sfuggita la tomba di Baudelaire. Dov’è che si trovava esattamente?».
«Ah, beh... era da qualche parte, vicino ad altre tombe, non ricordo bene...». Unghie scivolano rovinosamente sulla parete liscia.
«Ah si? E come era fatta? Era grande o piccola?». Alberto regge il gioco.
«Uhm, bah! Un po’ come tutte le altre, no?» taglia corto il tizio che il giorno prima aveva saccentemente tenuto una lezione sui Fleurs du mal.
Non c’è nulla da fare. Questa è una banfata in piena regola. Una banfata che ha mortificato il senso della mia visita, avvilendo la poesia, l’arte e, perché no, le ragioni più profonde che albergano nell’animo umano.
La desolazione per il fattaccio si smorza notevolmente dinanzi alla reggia di Versailles, capolavoro assoluto, archetipo di un’eleganza superiore e di una grandiosità sconfinata. Non mi riferisco soltanto alla celebre sala degli specchi, dove sarebbe doveroso cimentarsi in un valzer senza tempo, se non fosse per i bellicosi turisti giapponesi che affollano le stanze, ma anche al resto: dagli appartamenti ai giardini, ogni cosa a Versailles è sfarzo, stupore, tripudio di barocco e rococò.
Osserviamo le scale ricordando il recente film dedicato a Maria Antonietta,[16] quella ghiottona che si nutriva di croissant, pasticcini e altre prelibatezze.
Il parco della reggia è un vero e proprio museo en plen air; pertanto decidiamo di percorrerlo sul trenino, perché il tempo a disposizione non è molto. In breve siamo al piccolo Trianon, il villaggio di Maria Antonietta, dono di Luigi XVI, il quale, secondo gli storici, si rivolse alla consorte in questo modo: «Voi amate i fiori: ebbene, ho un mazzolino da offrirvi... è questo piccolo Trianon». Beh, ora che ci penso, anche a me piacciono i fiori...
Il trenino effettua una fermata proprio nei dintorni del piccolo Trianon, e lì accade l’irreparabile: tra i passeggeri sale anche Wollj, sbucata da chissà dove.
Cerchiamo in ogni modo di non farci vedere, confondendoci ai giapponesi, ma i nostri sforzi sono vanificati dalla sua attenzione sempre vigile: Wollj ci vede e si siede accanto a noi, cercando a tutti i costi di intavolare una discussione.
E allora ecco che Michela guarda nel vuoto, io parlo con Marzia, Claudia finge di dormire, Alberto gioca col cellulare, e Silvia ha una grande idea: «Perché non scendiamo alla prossima fermata e ce la facciamo a piedi fino al pullman?». Scaltra Silviette. Come Arsenio Lupin. Ma non è sufficiente. Wollj ci segue giù dal trenino, e, sconfitti, ci dirigiamo controvoglia e tutti insieme verso il pullman.
Il tragitto non è breve, dobbiamo allungare il passo senza perderci di vista, ma, quando meno te l’aspetti, Wollj sparisce misteriosamente. Ci giriamo e non la vediamo più. La aspettiamo qualche minuto, ma si è fatto davvero tardi: a quest’ora Michelle starà scalpitando davanti al pullman. Così perveniamo al luogo dell’appuntamento e allertiamo la nostra accompagnatrice. Di Wollj neanche l’ombra.
Tutti si mobilitano: Michelle cerca di mettersi sulle sue tracce, Wanna vorrebbe intonare un canto di incoraggiamento, Marius spegne definitivamente il motore, Alberto azzanna una baghette, quando ecco che Wollj, accompagnata dal boato di sollievo dei presenti, si palesa davanti al pullman.
Per giunta è furente, perché, a sua detta, non l’avremmo aspettata, quando lei aveva annunciato (?) che stava deviando per andare a procurarsi un depliant su Versailles.
«E non sono neanche riuscita a trovarlo, il depliant!» sbotta, visibilmente incollerita, accusandoci in modo spropositato: tanto per cominciare non ha avvisato nessuno dell’inopportuna deviazione, e comunque l’abbiamo attesa per un po’... insomma, Wollj, comprendiamo benissimo lo spavento per la situazione, ma non è possibile prendersela in questo modo per un banale malinteso...
E poi, sul pullman, Silvia compie anche un nobile gesto, degno di un moschettiere del re, cedendole il proprio depliant. A questo punto Wollj è contenta e la pace ristabilita.
Ci rechiamo dunque al Louvre, che vediamo soltanto dall’esterno, e poi organizziamo il nostro pomeriggio libero. La prima meta è la Saint Chapelle, uno dei massimi capolavori che l’arte occidentale abbia prodotto.
Il monumento si trova nel Palazzo della Cité, che comprende anche la Conciergerie, e attualmente è sede del Palazzo di Giustizia. Edificata tra il 1242 e il 1248, aveva un’importante funzione religiosa perché doveva ospitare le reliquie della Passione di Gesù.
Ora mi chiedo: se hanno impiegato solo pochi anni per realizzare il monumento più emblematico del gotico fiorito, perché oggi gli operai ci mettono una vita per ristrutturare la facciata di casa mia? Dubbi destinati a rimanere irrisolti.
Attendiamo a lungo in fila con l’immancabile baghette prima di raggiungere la cassa.
Gli altri non hanno diritto neppure alla tariffa ridotta, mentre io riesco addirittura a entrare gratis, spacciandomi per una cultrice – assistente di storia dell’arte, ed esibendo il tesserino SSIS, per nulla pertinente, accompagnato da qualche citazione erudita. La bigliettaia, stremata, è costretta a cedere.
Zero euro, ma ne valeva la pena. Scherzi a parte... entrare nella Saint Chapelle è davvero emozionante. Sarà per le splendide architetture, sarà per l’azzurro delle volte o per le antichissime pitture murali della cappella inferiore, sarà per lo stupore che si prova quando si accede alla cappella superiore, magnificamente arricchita di vetrate, realizzate apposta per dare l’impressione di raggiungere la Gerusalemme Celeste, in un tripudio di luce e colore, ma questo è il mio posto preferito a Parigi, insieme a Montmartre.
Dopodiché ci avviamo a Saint German de Prés, una chiesa romanica che vanta il più antico campanile di Parigi, nonché cappelle dedicate a Sant’Anna e Santa Genoveffa. Da quella zona, per tornare nel nostro Ibis, dobbiamo servirci della metropolitana. Si tratta di un’esperienza sconcertante, perché restiamo schiacciati come sardine per almeno una decina di fermate, in preda a una folla di francesi frenetici e pronti a sgomitare qua e là. Sarebbe alquanto sconveniente se in questo momento ricordassi loro che la nazionale italiana ha sconfitto i bleu agli ultimi europei di calcio, oltre al famigerato trionfo ai mondiali del 2006, ne convengo, e non vedo l’ora di tornare in superficie, quasi rimpiangendo la metrò milanese, “Cadorna fermata Cadorna” e tutto il resto.
A cena vengono minacciosamente vaticinati gli escargot, che vorrei provare per sentirmi un po’ Pretty woman, ma lo spauracchio si risolve in un nulla di fatto, e dunque non resta che recarci a Montmartre per una passeggiata notturna: siamo ancora in tempo per colmarci gli occhi di questa meravigliosa città, perché la vista dalla Basilica del Sacro Cuore abbraccia tutta Parigi, ed è incorniciata da una luna piena, che si staglia benevola ed eloquente sulla nostra ultima serata francese. Adieu.
20/07 VINCULATED FINO ALLA FINE!
La giornata del riluttante rientro in Italia comincia presto, molto presto, prestissimo... troppo presto. Quando si affronta un viaggio così lungo e impervio, è d’uopo levarsi di buon mattino, sebbene l’intontimento generale non giovi alla nostra lucidità: ecco perché io e Claudia, dopo aver caricato i bagagli sul pullman, ci avviamo a fare colazione nell’hotel sbagliato, sotto gli occhi beffardi e soddisfatti di Wollj, che negli ultimi tempi ci ha preso un po’ in antipatia.
Per fortuna c’è Michelle, sempre pronta a riportarci sulla retta via, a contare le persone per essere sicura che non manchi nessuno e a occuparsi di qualche signora che, ahimè, soffre il pullman (o forse gli strilli di Wanna?). Che voto le diamo? Pour me the same![17]
Come in un sogno ormai prossimo al risveglio, ci scorrono accanto paesaggi sempre vari e numerose città: Vezelay, famosa per la sua abbazia, Fontainbleu, in cui sorge un importante castello, e Basilea, località svizzera molto interessante.
Verso sera arriviamo a Milano. Ci siamo. Altro che brioches. Quando non avremo pane, mangeremo il panettone[18], ma ci sarà una prossima volta in Francia, ne sono sicura. Magari per assaggiare la tarte Tatin, oppure per andare a vivere nell’accogliente Borgogna come Russel Crowe, protagonista del film Una splendida annata, che abbiamo visto durante il tragitto.
Tanto torneremo. Magari anche solo per entrare nel cimitero “giusto”, a dispetto di tutte le banfate che odorano di lapsus freudiani. Ci sarà un’altra occasione. Tanto ci vediamo da Marius prima o poi[19].
[1] Citazione nonché omaggio alla mia relazione storica sul viaggio a Parigi del 2002, intitolata Le vie en rose
[2] Caldana è il nome del tour operator al quale ci siamo affidati. Durante il viaggio abbiamo cercato di trovare un adeguato testimonial all’agenzia, alludendo simpaticamente allo spot di Dolce e Gabbana, accompagnato dalla nota canzone Parlami d’amore Mariù
[3] Riferimento al film Eccezziunale veramente con Diego Abatantuono, più volte citato a memoria da me e Alberto nel corso del tour
[4] Reminiscenza dei versi “Si chiamava Marcel / ma non era francese”, tratti dalla lirica In memoria di Giuseppe Ungaretti
[5] Michelle chiama in questo modo le soste all’autogrill
[6] Costruzione chiastica
[7] Michelle definisce “Guidi”, le guide locali ai castelli e a Parigi. Ma come si chiamavano in realtà? Francamente non mi sovviene...
[8] Soprannominata in questo modo per la somiglianza con una celebre tele – imbonitrice...
[9]Di fronte al regale giaciglio ho deciso che non era possibile perdere l’occasione di essere immortalata in qualità di regina, anche solo per un momento, e così, in men che non si dica, sono state scattate foto, girati filmati, videoclip e campagne promozionali dell’Inter! Intanto il gruppo prendeva il largo...
[10] Si tratta del Ritratto di Antonietta Gonsalus di Lavinia Fontana
[11] 04.05.2008, Milan – Inter 2 –1 (Inzaghi, Kakà, Cruz)
[12] In occasione della recente assunzione, da parte della Francia, della Presidenza del Consiglio europeo, è stata predisposta questa illuminazione di grande effetto
[13] Allusione al Pre-Romanticismo, corrente culturale che fiorì alla fine del Settecento in Germania, caratterizzata da una spiccata propensione alla tetraggine, al gusto macabro e alla poesia cimiteriale
[14] Citazione dai Sepolcri di Foscolo
[15] Per l’ultimo giorno il nostro tour prevedeva la possibilità, in alternativa a Versailles, di organizzare un’escursione a Disneyland, alla quale inizialmente avevamo aderito io, Silvia e Marzia, oltre a un bambino di dieci anni di nome Riccardino
[16]Si tratta del film Marie Antoinette, 2006, di Sofia Coppola
[17] Diamo i voti a Michelle perché ci viene chiesto, durante il viaggio, di compilare una scheda di valutazione sull’ottimo tour operator Caldana, esprimendo il nostro grado di soddisfazione. Con la frase Pour me the same alludo a una simpatica risposta da me data a un commerciante francese nel corso della settimana
[18] Riferimento alla celebre frase («i francesi non hanno pane? Mangino le brioches»), attribuita, forse erroneamente, a Maria Antonietta
[19] Ricordo della canzone Certe notti di Ligabue e ovviamente omaggio al nostro autista!
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