martedì 17 novembre 2009
IL VIAGGIO CONTINUA...
domenica 6 settembre 2009
SVIZZERA 2009
YES, WE CAN!
Svizzera (13-16 agosto 2009)
13 agosto 2009:Nella terra del cioccolato…
Tutto è pronto per il tour che ci condurrà in alcune eleganti città della Svizzera tedesca, passando per Montreux con i suoi paesaggi lacustri e montani, senza disdegnare di assaggiare il decantato formaggio della zona. Il pullman spacca il minuto e da Milano s’invola verso il traforo del San Bernardo. Non manca proprio nulla, no. Soltanto… Paola!! L’appuntamento con la mia compagna di viaggio è fissato a Novara, ma di lei neanche l’ombra. Dove sarà? Il mistero si infittisce quando mi comunica, al telefono, di essere nei paraggi (ma dove?). È in quest’occasione che faccio conoscenza con l’efficientissimo accompagnatore, il romagnolo Arrigo, il quale scende dal pullman in autostrada e riesce a mettersi sulle tracce della latitante, a dire il vero non troppo lontana, accolta con un’ovazione sul pullman.
Ora non manca veramente nulla, che il viaggio abbia inizio! L’autista guida impavido superando ben presto il confine: durante il tragitto scopriamo che il suo nome è Milko, proprio come il lilla che invoglia… quale migliore premessa per una gita nella terra del cioccolato? Comincia così il tormentone (più che altro un tormento per il nostro autista) della mucca viola e altre simpatiche burle, tanto che già il primo giorno il pover’uomo non ne può più di noi.
Nel pomeriggio arriviamo a Montreux, presso l’hotel dove alloggeremo. La sistemazione non è niente male, tuttavia alcuni membri del gruppo, prontamente soprannominati “mafaldi”, si tolgono lo sfizio di protestare per delle inezie: il mafaldo- dirigente universitario si scaglia gonfio di tracotanza contro Arrigo perché manca l’aria condizionata in stanza; le due mafaldesse-medichesse si lamentano a più non posso senza spiegarci il perché. Per fortuna al mondo non ci sono solo mafaldi, e pertanto ci godiamo la passeggiata sul lungolago in compagnia di alcuni nuovi amici, Enzo, Gabriella e il giovane Enrico, nonché una simpatica coppia di signori toscani.
A dire il vero Montreux è “una città che se la tira” e nulla più. Non poche pretese di aristocrazia ed eleganza, forse per il casinò, forse per il jet set e cose così, forse per il Montreux Palace che ha ospitato alcuni noti artisti, come Micheal Jackson, ma, a parte il monumento in onore di Freddy Mercury e il mirabile panorama del lungolago, non c’è molto da vedere.
Toh, è un’usanza svizzera quella di portare i bambini dentro le fontane quando imperversa il caldo, e difatti il clima è bollente, persino afoso. Quasi quasi li invidio, penso, rientrando all’hotel per la cena… tra le portate, crema di cavolfiori e un succulento dolce al cioccolato, nonché la premura del nostro accompagnatore: «Volete che vi faccia togliere la mostarda dal pork?» domanda spudoratamente Arrigo a tutta la comitiva, rivolgendosi poi, sempre in romagnolo, agli zelanti camerieri: gli abbronzantissimi Obama-boys! Tutte le loro risposte sono incoraggianti e cariche di entusiasmo: «Possiamo avere altra acqua?» «yes you can!»; «Vorremmo anche del pane e una pinta di birra» «yes you can!»; «Una porzione in più di dolce?»… beh, adesso non esageriamo!
14 agosto 2009: Attenti alla psycho – marmotta!
La mattinata si apre con la prima, vera escursione del tour: destinazione Roches de Naye, il paradiso delle marmotte! Raggiungiamo la nostra meta in seguito a un’impervia arrampicata sui monti con il trenino a cremagliera: ce la farà o non ce la farà? Personalmente sono un po’ perplessa, ma intanto contemplo lo sconfinato panorama del lago Lemano e della costiera, incorniciato dalle vette alpine (fa capolino anche il Monte Bianco!). Finalmente i boschi cedono il passo a un paesaggio più roccioso e giungiamo a quota 2000 metri. Oltre alla passeggiata, ai simpatici incontri con animali del luogo (l’indifferente renna di Babbo Natale, le permalosissime capre che ci sbarrano il passaggio e i falchi), la visita ci consente di osservare numerose specie di piante montane nell’orto botanico, un museo con bestiole imbalsamate, qualche tenda mongola qua e là e soprattutto… le marmotte, le vere padrone del posto. Fortunatamente chiuse da un recinto (a salvaguardia della nostra incolumità fisica), gli agguerriti animali sono decisi a impossessarsi dei nostri cracker, che chiedono a gran voce, arrampicandosi sulla recinzione, mostrando minacciosamente i denti e soprattutto azzannando con ferocia inaudita il metallo che li separa da noi.
All’ora di pranzo prendiamo nuovamente il trenino per rientrare a Montreux, ripercorrendo la strada in discesa e ascoltando le precise indicazioni geografiche di Arrigo: «Adesso entriamo nel tunnel di qua per sbucare nella valle di là». Proprio mentre siamo immerse nella contemplazione di questi paesaggi tanto cari alla nostra beniamina Heidi, con tanto di lago Lemano a forma di mezzaluna, il treno inspiegabilmente interrompe il suo tragitto. Si è rotto, anche se gli orgogliosissimi svizzeri non vorrebbero ammetterlo, ma noi italiani siamo abituati a queste faccende e intuiamo subito che l’attesa non sarà breve… difatti, dopo un’ora sotto il sole cocente, trasbordi a destra e manca, ecco che si palesa un altro trenino poco promettente (ironicamente soprannominato TGV) che ci riporta, non senza incertezze e difficoltà, alla località di partenza. Il disappunto si dipinge sui nostri volti: altro che puntualità svizzera, questo è un ritardo degno dei mezzi di trasporto nostrani!
Vorremmo confortarci con un lauto pranzo in hotel, ma disgraziatamente capitiamo nello stesso tavolo di mafaldi e mafaldesse, che ci stordiscono vantandosi delle loro prodezze. Rimaniamo in balia delle loro saccenti chiacchiere finché non partiamo per la prima visita pomeridiana, prevista nella cittadina di Vevey. Il nostro cicerone, Arrigo, mostra contento la statua di Charlie Chaplin e il casinò, sullo sfondo dell’immancabile lungolago. Vevey è meno “frivola” di Montreux, come dimostrano i vicoli e le stradine al suo interno, tuttavia l’attrazione principale del pomeriggio è il castello di Chillon, di grande interesse storico e culturale.
Edificato strategicamente su un isolotto roccioso, questo “fottuto castello” (testuali parole della guida locale) risale al XII secolo, ma è il risultato di numerose ristrutturazioni. Fu usato come fortezza, arsenale e anche come prigione, resa celebre dal poeta inglese Lord Byron. All’interno meritano una visita soprattutto la sala lignea, risalente al periodo savoiardo, la sala da pranzo del castellano, finemente decorata e strategicamente apparecchiata, tanto da suscitare in Paola un certo languorino, mentre io mi diletto presso le antichissime latrine a due piazze, con tanto di disegni esplicativi. A dir poco geniale!
15 agosto: Su e giù per la capitale passando per… slurp… Gruyères!
Sveglia! Mentre a colazione sono costretta a pugnare contro il temutissimo gruppo dei baresi per un pugno di cereali, Paola non ne vuole sapere di abbandonare il regno di Morfeo, e così è costretta a prepararsi in modo fantozziano pochi minuti prima della partenza per Gruyères.
Il paesaggio muta dolcemente: dalle asprezze di Montreux si passa alle verdi e morbide vallate delle Prealpi friburghesi, dove sorge Gruyères, un pittoresco borgo dominato dal castello. Il nome di questo luogo deriva dall’immagine araldica della gru, ma ci rimanda a ben altre suggestioni, di carattere gastronomico… con il nome di Gruyères in bocca[1] visitiamo innanzitutto il castello, risalente al XI secolo. Molto belli i cortili interni e il giardino all’italiana, per non parlare, all’interno, del salone Corot, dipinto dal celebre pittore francese.
Tornati nel centro storico, ovviamente non manchiamo di partecipare alla degustazione del formaggio locale, nelle sue varietà, per poi partire alla volta di Berna, dopo un pranzo a base di spätzle e brezel.
Ricorderemo la “città dell’orso” per il caldo asfissiante e una guida locale molto sportiva che ci ha costretti a correre a perdifiato da una parte all’altra della capitale, tanto che più volte la signora toscana ha alzato bandiera bianca, minacciando di fermarsi. Ma Berna non è solo questo: visitiamo la cattedrale di San Francesco, protestante, e difatti i nostri compagni di viaggio protestano perché è troppo spoglia. Dopodiché ci dirigiamo verso il Palazzo del Governo, nella piazza centrale e finiamo dritti dritti nel cuore della festa del Toblerone, che proprio oggi compie cento anni: buon compleanno!! Quale migliore occasione per degustare il tipico cioccolato di questa zona, che viene offerto in quantità generose a tutti i passanti? E allora ecco che hanno inizio gli assalti ripetuti alle vallette cariche di Toblerone, che ogni tre per due fanno rifornimenti e riempiono vassoi, destinati, in pochi secondi, a essere nuovamente svuotati. Cent’anni, ma non li dimostra affatto… troppi complimenti. Perciò il Toblerone si scioglie, non per l’emozione, ma nel vero senso della parola, complice la temperatura ben oltre i trenta gradi (è buono lo stesso).
La visita guidata prosegue lungo il fiume Aar finché non giungiamo alla Torre dell’orologio, che ogni ora ci offre il suo spettacolo con i personaggi che si muovono, un po’ come a Praga e a Monaco.
Salutiamo Berna per tornare sul pullman: destinazione Lucerna. Dopo esserci sistemati nel nuovo hotel, passeggiamo amabilmente con i nostri amici nel raffinato centro storico. Lucerna by night è molto suggestiva e promette bene. Gli eleganti palazzi in stile liberty e i cigni che sguazzano nel lago fanno da contorno al nostro giro notturno.
16 agosto: Mafaldi, si prega di farli tacere!
Lucerna… una città densa di scorci da belle époque, elegante e raffinata nei suoi richiami storici e culturali, arricchita da musei e monumenti di rilevante interesse. La prima attrazione in cui ci imbattiamo è il ponte coperto, da non confondersi con il ponte della morte, dai toni macabri, qualche metro più in là. La passeggiata nel centro storico è molto gradevole: anche qui, come a Berna, abbondano le fontane, vere e proprie opere d’arte… e anche qui facciamo conoscenza con l’ennesimo Mafaldo della combriccola, nientepopodimeno che un nostro collega insegnante! L’attempato prof. di chimica, ex guru delle graduatorie, ex sindacalista, ex so-tutto-io, rimugina qualcosa sul Sessantotto e sui tempi in cui era giovane e bello, prima di tornarsene dai suoi “soci” sprizzanti mafaldaggine da tutti i pori. Pazienza! Ci confortiamo con l’esilarante gruppo dei baresi, i quali, dopo aver fatto razzie al buffet della colazione, tentano di aizzare un cigno contro Paola!
Intanto Arrigo ci conduce presso la chiesa dei Gesuiti, sfarzosa nelle sue decorazioni auree, la Cattedrale e una chiesa francescana, prima di giungere al Municipio. Molto carini inoltre i vari edifici decorati, come quello che rappresenta l’intero albero genealogico di una nobile famiglia.
In tarda mattinata ci separiamo dal resto del gruppo per recarci al museo principale con Enzo, Gabriella ed Enrico. È il trionfo di Paul Klee: al grande pittore svizzero è dedicata un’intera collezione… ma non solo! Ai piani superiori possiamo ammirare capolavori di Picasso, Monet, Renoir, Matisse, Cezanne, Modigliani, Seurat, Signac e tanti altri. Paola e Gabriella seguono interessate le mie divagazioni di fronte alle opere, ma Enrico non ne può più… indugiamo forse troppo a lungo nel ricchissimo museo, purtroppo è doveroso affrettarsi per non tardare all’appuntamento col resto della comitiva: dobbiamo pur sempre tornare a casa!
Prima di varcare il confine italiano, ci fermiamo a Bellinzona a spendere in tavolette di cioccolata le ultime monetine svizzere… franchi di qua euro di là… che confusione!
Durante il viaggio sgranocchiamo ciò che abbiamo comprato guardando un film, sempre con i soliti mafaldi, che nel frattempo hanno fatto comunella, alle costole, pronti a ribadire la propria superiorità sul resto del mondo e a rifilarci commenti poco edificanti, a dire il vero anche un po’ offensivi. Peccato che esistano persone così dappoco, ma che ci dobbiamo fare? L’importante è aver goduto pienamente di questi quattro giorni, così intensi, apprezzando luoghi, persone, costumi della Svizzera e legando con nuovi amici, che non esitiamo a salutare una volta giunti a Milano, con l’augurio di ritrovarsi in occasione del prossimo viaggio… saremo puntuali come un orologio a cucù!
[1] Omaggio ai Promessi sposi. Forse qualcuno ricorderà l’avventura di Renzo, con il nome di Gorgonzola in bocca…
sabato 11 luglio 2009
sabato 16 maggio 2009
MONACO 2009
Un tour furioso e pasquale, sorseggiando la capitale della Baviera e i suoi magnifici castelli, senza farci mancare brezel e würstel
MONACO MONACO! CE NE ANDIAMO A MONACO!
11- 13 aprile 2009
11 APRILE: MONACO E ISOLA D’ELBA: CHE TOUR!
Sarà pur vero che l’abito non fa il Monaco, ma il nostro tour operator, il celeberrimo Turi Turi, già sperimentato in occasione di un precedente viaggio in Croazia, non si presenta nel migliore dei modi: in seguito all’annullamento del tour della Provenza, per il quale avevo optato inizialmente, scopro con disappunto che la partenza per il viaggio a Monaco è stata fissata alle cinque del mattino! E pensare che Silvia e Marzia, le mie compagne di viaggio, non se la passano meglio: il loro ritrovo è anticipato di un’ora, praticamente notte fonda, quasi inutile andare a dormire per ritrovarsi qualche mezzora dopo sul pullman...
Memore dello sconclusionato viaggio in Croazia, con tanto di gitanti “dimenticati” all’autogrill perché si erano attardati alla toilette e retromarcia a tutto gas in autostrada, comincio a preoccuparmi, finché non faccio conoscenza con l’accompagnatrice.
«È questo il pullman per il tour di Monaco e dei castelli della Baviera?»
«Certo» mi assicura Fabrizia, questo è il suo nome. «Monaco e isola d’Elba, salite pure».
Ma come Monaco e isola d’Elba, che razza di tour è? Una giovane coppietta, lui salernitano, lei argentina, è a dir poco atterrita dalla notizia: «Uè abbiamo pagato per Monaco e mo’ vediamo pure l’Elba: mannaggia che tour! Ma siamo sicuri sicuri?».
Come no? L’accompagnatrice e l’autista, il simpsoniano Homer, sembrano certi del fatto loro, tuttavia ben presto l’arcano viene svelato: a ogni fermata si compiono dei misteriosi scambi con altri pullman del Turi Turi, insomma un saliscendi continuo di passeggeri... alla fine l’ordine torna a regnare: il gruppo è al completo, pronto a partire alla volta della Germania del sud, senza ulteriori indugi, anche perché, udite udite, sono previste temperature miti con tanto di cielo sereno per tre giorni, mentre all’isola d’Elba piove a dirotto... non potremmo chiedere di meglio.
Il viaggio comincia in modo faticoso, così durante le soste agli autogrill ne succedono di tutti i colori: tanto per cominciare Silvia e Marzia salgono come delle furie sul pullman sbagliato che, appunto, si chiama Furia ed è diretto a Vienna (attenzione: il fatto avrà un seguito!), mentre io, più avanti, trascorro dei momenti a dir poco drammatici ai servizi, sconquassata dai capricci del mio stomaco.
Nonostante tutto, arriviamo sane e salve nella capitale della Baviera! Monaco è una città paciosa, accomodante, arricchita da attrazioni degne di interesse... praticamente l’esatto contrario della nostra guida locale, che incontriamo nel centro storico: una furibonda signora di origine romana, tifosa sfegatata e anche un po’ delusa del Bayern. Dopo averci spiegato l’origine del nome della città più amata dai tedeschi, che richiama un’abbazia di monaci del IX secolo, ci mette in guardia dicendo che nel centro storico è in corso una manifestazione di nazisti, nonché una protesta dei tifosi di Toni e compagni, che hanno deciso di riversare il loro scontento calcistico in piazza, per non parlare delle biciclette assassine che hanno costretto in ospedale un numero spropositato di visitatori: ora che siamo angosciati al punto giusto possiamo tranquillamente iniziare il nostro tour della città.
L’edificio Maximilianeum, sede del Parlamento regionale, la via dello shopping, Konigsplatz, la Residenza Ducale, la Cattedrale Frauenkirche e la Glyptothek ci scorrono davanti come cavalli imbizzarriti, mentre la guida si ostina ad additarci le donne in bikini e gli aitanti giovanotti che vigorosamente praticano salubri attività sportive all’aperto: caspita, sembra l’istituto Luce! Malgrado la frenesia dell’attempata signora, che non ci permette neppure di andare in bagno, iniziamo a familiarizzare con l’atmosfera di questi luoghi e a scoprire il fascino di una città in divenire.
Finalmente scendiamo dal pullman e facciamo subito conoscenza con una compagna di viaggio, Linda, ma soprattutto con la sua temibile fotocamera fucsia, fremebonda e mai doma, che presto diventerà un tormentone, anzi un vero e proprio tormento!
Mentre cerchiamo di seguire la caratteristica bandiera bavarese bianca e blu, retta dalla nostra forsennata guida, io e Silvia ci domandiamo che differenza passi tra un monacense e un moneguasco... tra un quesito e l’altro mettiamo piede nella vivacissima Marienplatz. Qui ha sede il Nuovo Municipio costruito alla fine dell’Ottocento in stile neogotico, noto per il carrillon che ogni giorno, a orari prestabiliti, si anima esibendo molteplici figure a grandezza naturale, come i due cavalieri che si incontrano e si scontrano, i fanciulli danzanti e così via. Linda filma un po’ piccata perché l’animazione sembra non finire mai e anche Silvia non ne può più di stare con il naso per aria, invece io batto le mani al ritmo delle melodie: sarò un po’ bavaresotta, ma lo spettacolo mi emoziona e conquista!
Ecco che l’inseguimento della romanaccia delirante prosegue, con la visita ad alcune attrazioni come l’Hofbräuhaus, la birreria in cui Hitler nel 1923 tentò (e fallì) il putch, il colpo di stato. L’edificio, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, evoca tradizioni e costumi cari alla cultura bavarese, a partire proprio dalla birra: pertanto meditiamo di farvi una puntatina al più presto!
Ovviamente non ci accontentiamo del giro turistico insieme alla guida, così, dopo aver scorto il vasto prato in cui ogni anno viene celebrata l’Oktoberfest, ci defiliamo, libere di visitare alcuni monumenti come la chiesa dei Teatini, bianca che più bianca non si può, vero capolavoro del barocco italiano.
Tornate al luogo del ritrovo con il resto della comitiva, conveniamo sul fatto che il lavoro di Fabrizia sia tutt’altro che idilliaco: oltre all’immane fatica di contarci e ricontarci (e siamo davvero tanti, quasi una sessantina!), deve fronteggiare le assurde polemiche di alcuni membri del gruppo, come due signori di mezza età, marito e moglie, intenti a sbuffare e criticare tutto, e con il vizio di gufare seccature agli altri compagni di viaggio: «Qualcuno verrà investito da una bicicletta, vedrete che il tempo cambierà e avremo pioggia» ecc.
In compenso, sopraffatta dal mio stomaco ancora precario, entro in una farmacia, apostrofando la commessa in un tedesco un po’... trapattoniano. Benché neppure in inglese mi abbiano insegnato a dire certe cose che il tacere è bello[1], scopro che alcune parole hanno una valenza universale e sono comprensibili in ogni lingua, come, appunto, imodium.
Una volta raggiunto l’albergo, un po’ fuori mano, ceniamo e decidiamo di trascorrere la serata nei dintorni, senza troppe pretese e con l’intento di rincasare presto, ansiose di lambire le piume del letto. Gli altri preferirebbero invece scatenarsi in centro, nei locali più animati della città, ma sono un po’ esitanti: vogliono prendere un taxi e poi rinunciano, provano a salire su un autobus ma non sono del tutto convinti. Alla fine accantonano l’idea e ci seguono nella nostra esplorazione notturna del tetro quartiere che ospita l’hotel, con scorno di Linda, l’unica veramente motivata a gettarsi nella movida, incurante della levataccia del giorno prima.
Percorriamo le vie deserte, perseguitate dalla solita upupa preromantica, ma fortunatamente sappiamo dove andare perché prima di uscire abbiamo chiesto indicazioni alla receptionist sui locali della zona. «Left left left[2]» la sua risposta perentoria, carica di speranze di baldoria e birra a non finire. In effetti seguendo i suoi suggerimenti non facciamo altro che perderci pericolosamente attraverso strade sempre più disabitate e buie; quindi per puro caso scopriamo che l’unico pub della zona si trova nella parte opposta: la consigliera fraudolenta avrebbe dovuto dirci: «Right right right[3]»!
Tuttavia ne è valsa la pena: giungiamo in un pub ludico – medievale ricco di sorprese, dal tavolo girevole (sedersi è un’impresa bellica, che richiama alla memoria le giostrine nei parchi durante la nostra infanzia), alle armature e, naturalmente, ai troni (ora che sono stata ufficialmente soprannominata Sua Altitudine non posso fare a meno di provare anche questi)... certo che i bavaresi, discendenti dei boemi, sono proprio affabili e sanno come divertirsi.
Forse i “terroni della Germania”, così come sono stati etichettati, un po’ ci somigliano, penso, trascinandomi attraverso le sinistre vie che conducono all’albergo. Sorseggiando Monaco...
12 APRILE: NATALE CON I TUOI PASQUA CON IL PUTCH!
Il tepore baluginante del sole monacense mi sveglia con largo anticipo. Guten morgen Monaco! E, soprattutto, buona Pasqua! Oggi si celebra questa importante festività, come viene sottolineato dai numerosi coniglietti, che i bavaresi disseminano ovunque, sotto forma di peluche o cioccolatini: ne troviamo uno anche nella nostra stanza, che pensiero carino!
La colazione è in verità un po’ deludente: il pane al formaggio (con la marmellata) di primo mattino non fa per me; sempre meglio delle polpette alla cipolla, che Silvia assaggia con entusiasmo. La nostra scimmietta[4] costringe inoltre Marzia a ingurgitarne un po’ prima di salire sul pullman.
In cuor mio penso: meno male che non sono sedute vicino a me... però vicino a me c’è Linda, più scatenata che mai con la trepidante fotocamera fucsia: scatta istantanee senza requie attraverso i vetri del veicolo, fermatela! Insieme a lei ci avviamo verso il fiume Isar per una gradevole passeggiata, che ci permette di ammirare il Municipio Antico, la cattedrale dedicata a Nostra Signora, la chiesa di San Michele e quella di San Giovanni, ma, soprattutto, i numerosi spazi verdi e le piste ciclabili che caratterizzano la capitale della Baviera. A proposito di ciclisti, questi scorazzano così pericolosamente che per sicurezza decidiamo di procedere camminando sull’erba: a Monaco le biciclette sono padrone incontrastate della città, guai a mettere piede, anche per sbaglio, su una pista riservata a questi mezzi!
In men che non si dica è già ora di pranzo: l’Hofbräuhaus ci attende! Il caratteristico locale offre la migliore birra della città, per la gioia di Silvia e degli appassionati della bevanda, ma anche i würstel e le saporitissime salse non sono da meno: finalmente un vero pranzo bavarese, alla faccia delle zuppe che ci vengono propinate in albergo! Inoltre l’HB merita una visita per quanto concerne l’aspetto architettonico: il cortile esterno è molto interessante, mentre all’interno è possibile contemplare le volte affrescate, anche al piano superiore.
Ristorate dalla sosta al locale, possiamo riprendere il tour ricongiungendoci col resto della comitiva, diretti alla residenza estiva dei sovrani di Baviera, Nymphenburg, eretta tra la seconda metà del Seicento e la prima del Settecento.
A parte qualche piccolo intoppo, come l’anziana signora seduta in prima fila sul pullman, che ha smarrito macchina fotografica e altri oggetti personali, e una querelle all’ingresso del monumento (le guide locali pensano che Fabrizia stia tentando di truffarle facendoci entrare gratis, quando in realtà la visita è compresa nel prezzo!), il Castello delle Ninfe è un luogo ameno e pittoresco, dove, tra l’altro, gli architetti italiani, gli stessi della chiesa dei Teatini, hanno mostrato tutto il loro valore.
A prima vista, osservando il giardino e i suoi canali, i cigni che sono ovunque, le papere e le anatre di caraccioliana memoria[5], ci ricorda un po’ Versailles, forse per volontà degli stessi committenti, Ferdinando Maria ed Enrichetta Adelaide di Savoia, e anche l’interno della residenza appaga pienamente l’occhio del visitatore, nel suo trionfo di barocco e rococò.
Personalmente mi ha incuriosito molto la Galleria delle Bellezze, una sala in cui sono conservati i ritratti di tutte le donne amate da Ludwig I (sono ben 36, mica male!): tra queste avvenenti signore, dolci fanciulle e donne spregiudicate, non figura neppure una bionda, come saggiamente fa notare Silvia, additandomi le chiome castane e more: tié!
Nel tardo pomeriggio visitiamo un’altra importante attrazione monacense: l’Olympiapark, un immenso complesso sorto negli anni Settanta per ospitare le Olimpiadi, caratterizzato da strutture decisamente moderne. Lì un ascensore ci conduce a una velocità vertiginosa all’ultimo piano del grattacielo che domina la città. Panoramico e mozzafiato.
Al ritorno in hotel, siamo talmente esauste per via del programma serrato e valetudinarie (qui lo storico passaggio di consegne dell’imodium da me a Silvia) che optiamo per un’altra serata tranquilla in stanza a commentare i momenti salienti della giornata, pregustando ciò che ci attende l’indomani. Sognando Monaco (e i suoi castelli)...
13 APRILE: FAVOLA O FIABA?
Alle sei del mattino, baldanzose come non mai, siamo pronte a recarci in sala colazione, ansiose di cominciare la giornata che si preannuncia memorabile: è la volta del celebre castello di Neuschwanstein, per intenderci quello preso a modello dalla Disney per La bella addormentata, praticamente il luogo più fiabesco che esista!
Purtroppo il breakfast è turbato dall’ingombrante presenza del gruppo dei cinesi, che, chissà perché, ha invaso il locale malgrado fosse stato prenotato dalla nostra comitiva, forse per un disguido tra i responsabili dell’albergo. A differenza della coppia “musona”, che esigerebbe quasi un rimborso dalla povera Fabrizia per il disagio subito, ci stringiamo un po’ e troviamo un posticino per consumare il primo pasto della giornata: caspita, sembra proprio di essere in via Paolo Sarpi!
Come puntualizza la nostra accompagnatrice sul pullman, Neuschwanstein non è il castello delle favole, così come erroneamente viene definito, bensì delle fiabe, perché esiste una bella differenza tra i due generi letterari: da una parte la favola, breve, con un intento moraleggiante e gli animali come protagonisti, dall’altra la fiaba, più estesa, caratterizzata da personaggi umani e quasi sempre un lieto fine.
Uhm... questa spiegazione puzza di antologie che conosciamo fin troppo bene e programmi di prima media già visti... dunque scopriamo che Fabrizia, nella straordinaria veste di accompagnatrice del Turi Turi, è, nella vita di tutti i giorni, una nostra collega di lettere: anche lei ha valanghe di temi da correggere per le vacanze di Pasqua, e ce lo confida con orgoglio!
A un tratto, in seguito a queste rivelazioni, un pullman ci supera con arroganza: popi popi! È quello dei soliti cinesi, che sfilano sotto i nostri occhi increduli: ovviamente non possiamo fare a meno di fulminarli con lo sguardo e sperare di non incrociarli al castello.
E che castello! Neuschwanstein evoca atmosfere da sogno, popolate da belle addormentate e indomiti cavalieri, all’insegna dello stupore e del pittoresco. Nel cuore di una lussureggiante foresta, le alpi e un incantevole lago fanno da cornice a un posto unico nel suo genere, voluto dal re Ludovico II di Baviera nella seconda metà dell’Ottocento.
La vita di questo sovrano, che incarna l’ideale romantico di genio e sregolatezza, è carica di fascino, data la sua morte avvenuta in circostanze misteriose... quel che sappiamo è che Ludovico era uno spirito libero, viveva nel suo mondo immaginifico e, a differenza del suo antenato Ludovico I (quello delle Bellezze), ebbe un unico grande amore: Wagner. Fece edificare un castello che rispecchiasse i suoi ideali, e così sorse Neuschwanstein, il trionfo della fantasia. Lì purtroppo non trascorse giorni felici perché fu dichiarato pazzo, allontanato dalla sua dimora e infine annegò (?) nel lago di Starnberg.
Per raggiungere il castello occorre affrontare un’impervia salita; io e le mie compagne ovviamente ci avvaliamo di una carrozza trainata da due poderosi cavalli bavaresi: il percorso in mezzo alla fitta foresta, cullate da un leggero dondolio, ci fa sentire tutt’uno con i fratelli Grimm e i loro personaggi.
All’interno del castello ci imbattiamo in sale in stile neo bizantino, neo gotico e neo romanico, tutte decisamente sfarzose e impreziosite da dipinti che richiamano le opere di Wagner. Significativa la sala dei cantori, in cui le raffigurazioni si ispirano alla leggenda di Parzival: il sovrano venerava letteralmente il medioevo!
La passeggiata per raggiungere il ponte panoramico (anche se io non sono arrivata fin lassù!) e l’aria frizzante ci mettono un po’ d’appetito: in uno dei ristoranti intorno al castello gustiamo il pasto più ghiotto di tutto il viaggio, a base di salsicce, delle immancabili patatine fritte, birra e un brezel gigante, che io, Silvia e Marzia accogliamo con una sentita ovazione.
Tutte in carrozza, si torna al pullman! La discesa è ancora più dolce, se non fosse per uno strano imprevisto: a metà strada la nostra cocchiera decide che è ora di cambiare i cavalli, scambiandoli con quelli di una carrozza intenta a percorrere la strada in salita. Che cosa sarà accaduto? Gli animali hanno incrociato le zampe per indire uno sciopero, hiii[6], selvaggio? Non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che siamo leggermente in ritardo... per fortuna i cavalli di Neuschwanstein non sono l’ATM e alla fine giungiamo al ritrovo spaccando il secondo. Si parte... stavolta, ahimé, verso Milano, e il rientro si preannuncia lungo e costellato da interminabili code autostradali. Per fortuna i nostri occhi sono allietati dal paesaggio: a sud le vallate diventano più verdi e dal profilo gentile, talvolta popolate da strani animali.
Passano le ore, gli autogrill, la Germania, l’Austria, il Brennero intasatissimo per via del controesodo, come previsto, e siamo ancora lontane da casa... occorre architettare qualche diversivo per scongiurare la noia, che incombe minacciosamente su di noi. Così, in seguito a svariate arguzie matematiche e peregrinazioni nella letteratura italiana (oh Ermione, chissà perché con Silvia si degenera sempre ne La pioggia nel pineto!), seguiamo con interesse la conversazione dell’anziana signora seduta in prima fila (quella della fotocamera perduta) intenta a civettare con l’autista.
«Ah sa, non ci sono più gli autisti di una volta... capitano certi screanzati, mentre lei guida benissimo. Bravo, tranquillo... in tre giorni di viaggio non ha mai trombettato nessuno. È sposato?».
Homer sembra turbato. «Intende dire» chiarisce Fabrizia, rivolta al collega «che in due giorni non hai mai suonato il clacson». Beh, tutto sommato ci voleva anche la signora, tra l’altro molto simpatica, a stemperare un po’ questo rientro lunghissimo e affannoso, peccato solo per i suoi oggetti smarriti e le brutte esperienze con autisti troppo facili al trombettamento... intanto abbiamo superato Sirmione, oh Sirmione!
In serata, con un paio d’ore di ritardo sulla tabella di marcia, giungiamo a Bergamo, dove si ripete la scena dei complicatissimi scambi di pullman dell’andata, e stavolta anche noi dovremo cambiare automezzo, separandoci.
... e alla fine arriva “Furia”, per la gioia di Silvia e Marzia, che molto probabilmente saranno caricate proprio lì, sul veicolo furente, dirette a Gallarate. Era destino. Così come è ineluttabile che il mio pullman sia l’ultimo ad arrivare, costringendomi a un’attesa di mezzora presso la stazione di Bergamo, ma sono in buona compagnia: ho ancora gli avanzi del brezel enorme di Neuschwanstein! Faccio per prenderlo nello zaino, ma ormai è secco, immangiabile, praticamente da buttare, sebbene il ricordo del suo sapore e di questi tre magnifici giorni bavaresi sia destinato a durare nel tempo: che cosa canterebbe Silvia in questa circostanza? Take my brezel away[7]...
[1] Reminiscenza dantesca
[2] Sinistra, sinistra, sinistra. Praticamente dovremmo girare tre volte a sinistra per trovare il locale
[3] Destra, destra, destra
[4] Ovviamente non è un riferimento offensivo, ma un’allusione alla foto del profilo di Silvia su Facebook
[5] Pensiero per la nostra amica e compagna di viaggio Elena
[6] quello era un nitrito
[7] In realtà il titolo della canzone, colonna sonora del film Top Gun, è Take my breathe away, qualcosa come “porta via il mio respiro”, ma Silvia non aveva capito bene e si ostinava a cantare Take my bread away, cioè “porta via il mio pane”. E allora perché non: “porta via il mio brezel”?