lunedì 30 giugno 2014

PAZZA AREZZO, AMALA!

20 aprile: LA VITA AD AREZZO È BELLA!

Almeno così dice Elena, desiderosa di sfrecciare in bicicletta tra le vie e le piazze nelle quali è stato ambientato l’indimenticabile film di Benigni. E pensare che siamo solo all’inizio di un tour di tre giorni, che toccherà, oltre a questa città, dal sapore un po’ guittoniano, anche l’arroccata e suggestiva Cortona.
Ma una cosa alla volta: è la mattina del 20 aprile, insomma Pasqua, e noi festeggiamo in stazione Centrale, nella carrozza 17 (chissà perché poi ricorre sempre questo numero nei nostri viaggi!) del treno che sta per condurci nella terra di Piero della Francesca.
Quella bischera della Contessa ha portato un’ottima pastiera napoletana da gustare durante il tragitto, ma io non sono da meno, dato che sfoggio (e mangio) un coniglietto di cioccolato regalatomi da una simpaticissima e bravissima alunna.
In men che non si dica, dopo un cambio di treni nel capoluogo toscano, raggiungiamo Arezzo, giusto in tempo per depositare i bagagli presso il luogo in cui pernotteremo e partire alla scoperta del centro storico.
L’albergo scelto da Elena (dai, facciamole un applauso!) è un bed and breakfast molto accogliente, ricavato da un antico palazzo nobiliare in stile liberty: casa Tarussio, appunto.
Oltre all’estrema eleganza, all’impeccabile pulizia e al clima familiare che si respira qui, siamo molto colpite dalla proprietaria, la signora Bianca, che ci apre in accappatoio accogliendoci nel migliore dei modi insieme a suo figlio Alessandro: i due albergatori dimostrano una grande affabilità e ci fanno sentire come se fossimo a casa nostra.
Dopo aver sperimentato gli affettati tipici della regione, eccoci dinanzi alla Basilica di San Francesco, piccola chiesa di pietre e mattoni, nota perché al suo interno custodisce “La leggenda della vera croce” di Piero della Francesca”, un ciclo di affreschi ispirato alla “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze. Però noi nella chiesa continuiamo a imbatterci anche in opere di un certo Spinello Aretino, che ci rimane impresso. Tutto è bellissimo e vorremmo fermarci di più per ammirare non soltanto il capolavoro di Piero, ma anche gli affreschi di Luca Signorelli e il Crocifisso centrale del Maestro di San Francesco, però l’itinerario che ci siamo prefissate di compiere oggi è denso di appuntamenti imperdibili.
Per cominciare ci dirigiamo a Palazzo Bruschi, attraversando un pezzo di città in compagnia di alcuni gatti randagi (non è che il giorno di Pasqua ad Arezzo ci sia un gran movimento): noi alla ricerca di scorci meravigliosi e loro di… sorci.
All’interno del palazzo, a ogni modo, è possibile vedere un po’ di tutto: il signor Bruschi, collezionista d’arte che mai si sposò (ed Elena cerca di capire perché), raccolse pezzi artistici preziosissimi di ogni epoca e da ogni parte del mondo.
Per di più un altro dei vantaggi di Palazzo Bruschi è che si trova proprio di fronte alla Pieve di Santa Maria, chiesa romanica che ospita un pregevole polittico di Pietro Lorenzetti: un tripudio di gioia per la medievalista Elena!
Ma Arezzo accontenta tutti i gusti: appena metto piede in Piazza Grande, mi verrebbe da gridare “Buongiorno, principessa!”, osservando questo luogo celebre e immortalato dal cinema, di grande respiro architettonico, senza dimenticare la particolarità della piazza… in discesa. O in salita, dipende da come la si vede.
Quando poi entriamo nella chiesa della Badia, proprio di fianco alla scuola elementare del film, constatiamo che Arezzo è proprio un museo a cielo aperto… una Firenze in miniatura: ti giri, ti volti, ed è arte, è storia ovunque. E poiché gli aretini ne sono fieramente consapevoli, a ogni angolo spunta qualche autoctono pronto a darti consigli su dove andare e che cosa visitare, e tutti sono davvero cordiali! 
Infatti, proprio all’interno della chiesa, una signora s’improvvisa guida turistica, svelandoci alcune particolarità delle opere: per esempio all’interno di un dipinto è celato l’autoritratto del Vasari, e via discorrendo.
Tra una chiacchiera e l’altra, decidiamo di andare alla volta di un’altra attrazione: il cosiddetto giardino (o praticino) segreto ma, essendo gli aretini molto loquaci… è un segreto di pulcinella: tutti conoscono questo locus amoenus, affollatissimo (verso il tardo pomeriggio infatti la città inizia a popolarsi, dopo il “deserto” pasquale). Comunque noi contempliamo un po’ le colline toscane, il monumento a Petrarca e, una parola tira l’altra con i passanti, rischiamo di far tardi al Museo di Arte Medievale e Moderna.
Un altro piccolo tesoro nel centro città, e per giunta gratis (a dire il vero per noi ogni cosa è gratis, ma questo è un altro discorso…). Dicevamo, un museo che merita una visita tutt’altro che frettolosa, non solo per le opere di inestimabile valore (e qui spunta ancora lo Spinello… Aretino), ma anche per il bel chiostro con tanto di roseto, e poi perché si può visitare tutto con rilassatezza, dato che non c’è anima viva, anzi sembra quasi che manchino persino gli addetti alle sale… ehi, c’è nessuno?
Usciamo nel tardo pomeriggio, quasi sera, con un certo appetito, e finiamo… in buca.
Proprio così: la “Buca di San Francesco” è il ristorante dove veniamo risucchiate, anche grazie all’intraprendenza del gestore, il quale promette buona cucina e prezzi francescani.
I piatti saranno anche prelibati, ma il problema è che il guiscardo ristoratore ci fa assaggiare soltanto uno “sputo” di tutto. Un rigurgito di pappa al pomodoro, un raviolo, una forchettata (ma piccola) di tagliatelle al ragù di lepre… il tutto innaffiato con acqua di fonte e vino rosso. Noi beviamo e beviamo, già pregustando non tanto il dolce (un cantuccio con vin santo e un assaggino di tortino), ma il salato… del conto.
Infatti, mentre io vorrei dire al signore della Buca che la pasta è buona e se vuole ora può scolarla, ecco che la nostra prima cena aretina finisce con noi che ci sentiamo molto leggere, e i nostri portafogli… pure.
Non ci resta che andare a dormire per evitare di combinare altri danni. Non ci imbucheremo mai più!

21 aprile: ARETINO SPINELLO E ARETINO PORTOBELLO!

È davvero una sensazione piacevole quella che proviamo nel consumare la prima colazione in un salotto privato, di fronte alla stanza, apparecchiato apposta per noi, con tanto di colomba pasquale e il buongiorno da parte di Bianca e Alessandro: a casa Tarussio le attenzioni verso i clienti anzi, gli ospiti, ci fanno sentire sempre più parte di questa città.
E, poiché Arezzo è legata alla figura del Vasari, pittore rinascimentale ma soprattutto biografo delle Vite degli artisti, perché non fare un salto a casa sua?
Sapete una cosa? Rischiamo quasi di non arrivarci, a casa di questo eccelso critico d’arte, perché Elena s’imbatte in un negozio di ricami e altre cosucce chiamato “Portobello”: vi entra, inizia a conversare con la singolare proprietaria, che in un attimo viene letteralmente conquistata dalla Contessa. Le mostra i suoi diari, narrandole la storia della sua vita e ovviamente mostrandole tutti i ricami possibili e immaginabili. Una tappa che dura circa un’ora, piacevole e istruttiva per Elena, ma interminabile per me! Sono traumatizzata da questa donna, che tra l’altro non mi vede di buon occhio e lo confida pure alla Contessa!
Se non altro ho capito che gli aretini sono talmente chiacchieroni che è meglio mettere da parte i consigli di Tripadvisor per lasciarsi guidare dai passanti, dai toscani doc e… ahimè… dalla proprietaria di Portobello. 
La casa del Vasari è interessante, ma il tizio che spiega le varie stanze è soporifero: evitatelo come la peste! In compenso nel giardino facciamo amicizia con un gatto rosso stupendo, che io ribattezzo Torakiki.
Passando per le chiese di San Michele e di Sant’Annunziata, giungiamo al famoso balcone de La vita è bella (i luoghi legati al film sono, tra l’altro, tutti segnalati da una placchetta e un cartello con le battute degli attori). Mentre io guardo per aria, sperando che Maria butti la chiave, Elena individua un posticino niente male per pranzare: si chiama “Gnicchi” e offre piatti tipici aretini, come la zuppa di farro e le ottime torte caserecce. Lì consumiamo il pasto in compagnia di un cane vigliaccamente bistrattato dai suoi padroni (“ci dà fastidio, lo mettiamo sulla vostra sedia”. Fate pure, che dire?) Consigliatissimo. Non l’abbandono di animali ovviamente, ma il ristorante.
Al pomeriggio ci attendono la fortezza medievale, dove c’è un magnifico parco ma dentro ben poco da vedere, la cattedrale di San Donato, un po’ cupa per i miei gusti, e la chiesa di San Domenico, romanico-gotica, nota per la presenza del grande Crocefisso di Cimabue.
Concludiamo la giornata di visite (ma nel frattempo abbiamo fatto anche un po’ di shopping gastronomico, tra finocchiona e lardo) con la casa del Petrarca, malgrado tutti ce la sconsiglino. Ma noi siamo letterate, e non disdegniamo. Tra l’altro quella del cantore di Laura è una bella casa; fanno giusto un po’ impressione i resti di denti e cranio del sommo poeta esposti in una teca. Per il resto tutto ok.
A cena insisto per andare a mangiare da “Albano e Olga”: Elena non ci crede, ma la trattoria si chiama proprio così! Ed è anche facile da raggiungere, non troppo distante da via Spinello Aretino… ehi, ma allora è una congiura!

22 aprile: VICINE DI CASA

Ricugino? Rigolino? Ma come diavolo si chiama il posto in cui dobbiamo cambiare il pullman per arrivare a Cortona? Il nome “Rigutino” proprio non mi entra in testa! A furia invocare il Rigurgitino, Elena minaccia di vomitare.
Come se non bastasse, l’autista del pullman è parecchio nervoso e basta un niente per farlo imprecare: Maremma Ma…!!!
Per fortuna, dopo qualche curva, la tappa a Ricucino (?) e la dolce visione della campagna del Casentino, eccoci nella città di Jovanotti e di Piero da Cortona. Insomma, Cortona!
Niente male l’inizio: passiamo attraverso la porta ghibellina, per poi scoprire che è foriera di disgrazie, poiché si tratta di un passaggio maledetto!
Ci riscattiamo imbroccando piazza Signorelli e camminando fino al Duomo. Lì sorge anche il Museo Diocesano, giusto per farsi una scorpacciata di Beato Angelico e Signorelli.
Cortona è suggestiva e arroccata, tutta in pietra, piena di salite impervie e ostacoli inaspettati: pensate che a un certo punto stavo per scivolare su un piccione spappolato, proprio di fronte al ristorante scelto da me ed Elena per il pranzo. Tra le varie prelibatezze proponevano, per l’appunto, il piccione! Ma non vi preoccupate: alla Trattoria Toscana ho preso le pappardelle al ragù di cinghiale, affrontando la gigantesca porzione con tanto di tovagliolone annodato e sguardo truce: “pappardelle, voi m’avete provocato…”
Peccato non poterci fermare molto tempo in questo ridente borgo medievale, perché il pullman per Riluttino è inesorabile, perciò dobbiamo correre alla fermata dei bus, anche se con riluttanza.
“Vorrei avervi come vicine di casa, ragazze” dice la signora dell’albergo, accomiatandosi da noi, una volta tornate nella hall per i bagagli. Per me ed Elena è lo stesso, siamo sicure che altrove faticheremo a trovare un’ospitalità del genere.
A presto Arezzo, ci mancherai!








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