Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E quieta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
A PROPOSITO
DI GIACOMO…
Tour
leopardiano (ma con momenti pirandelliani)… e non solo!
01 maggio 2015: SFONDIAMO!
D'in su la vetta della
torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Sul treno diretto ad Ancona, insieme a Mari e Sara,
di primissimo mattino, ripercorro mentalmente quelli che potrebbero essere i
versi più soavi della letteratura italiana, opera di un poeta dalla voce
imperitura: Giacomo Leopardi.
Peccato che gli studenti (di ieri, oggi e domani!) lo
ricordino solo per la sua gobba e quell’etichetta di pessimista cosmico, così comoda ma
tutt’altro che veritieria.
Peccato anche che sul treno salga uno stalker
proveniente da Aosta, che prima fa di tutto per attaccare bottone con noi,
dopodiché assiste imperturbabile ai momenti pirandelliani tipici di Mari (che
non si possono spiegare a parole, bisogna semplicemente vederli!), poi ascolta,
facendo finta di niente, tutti, ma proprio tutti i fatti nostri (intervenendo a
sproposito di tanto in tanto) e finalmente a Bologna o giù di lì, si congeda da
noi.
Sara tira un sospiro di sollievo, ma niente da fare:
la profondissima quiete e i sovrumani silenzi non appartengono alla carrozza in
cui siamo capitate, dal momento che fa irruzione sul treno nientepopodimeno che
il ragionier Filini, seguito da un fantozziano entourage.
Mentre l’organizzatore imperterrito programma ad alta
voce ogni minimo dettaglio del suo viaggio iperstrutturato, io presagisco
nuvolette colme di pioggia pronte a rovesciarsi su di me e sulle mie amiche;
per fortuna mi sbaglio, perché un timido sole marchigiano ci saluta, fuori dal
finestrino.
Eccoci ad Ancona, giusto in tempo per cambiare treno.
Destinazione: Porto Recanati.
Giunte alla prima meta del viaggio, veniamo subito
conquistate dalla gentilezza e dalla calma che contraddistinguono gli indigeni…
sarà per la verdeggiante dolcezza delle loro colline, sarà perché sono in grado
di apprezzare il valore dell’attesa e non si agitano se il caffè o il bus non
arrivano all’istante, ma li invidiamo non poco.
«E così siete fuggite dall’Expo?» domanda l’autista
dell’albergo caricando i bagagli sulla vettura.
«Esatto… oggi a Milano inizia un evento pazzesco e
noi ce la diamo a gambe. Speriamo che non succeda niente di brutto in città»
rispondo e… non l’avessi mai detto…
L’hotel Mondial di Porto Recanati è garbato e pulito.
Alla reception ci viene anche consegnato un buono gratuito per la spiaggia, che
decidiamo di sfruttare nel pomeriggio.
Purtroppo fa ancora freddino per indossare i costumi
e gettarsi nelle acque dell’Adriatico, in compenso Mari e Sara possono
riposarsi sui lettini, mentre io improvviso un allenamento calcistico sulla
sabbia.
Il pomeriggio prosegue, passeggiando amabilmente tra
le vie della città, dall’aspetto molto curato e piena di case variopinte. I
recanatesi sono fin troppo cordiali: al bar e in edicola quasi si vergognano di
chiederci i soldi! Inoltre, quando danno delle indicazioni stradali, lo fanno
in modo molto simpatico: per esempio non dicono «se prendi quella strada fai
attenzione perché è chiusa, non porta da nessuna parte» ma «quella strada non
SFONDA, prendete quell’altra, quella sì che SFONDA!»
Così tra un giro sul lungomare e qualche sfondamento,
riusciamo anche a fare acquisti: Sara si convince a passare alle scarpe comode,
io addirittura tratto loschi affari con un senegalese per una camicia
taroccata!
La nostra ilarità è interrotta quando apprendiamo i fatti di Milano: delle persone incappucciate stanno devastando la
città, così, tanto per distruggere qualcosa e fare bordello, come illustra
saggiamente l’idiota di Pavia, mister Emblema, riproposto in tutte le salse dai
vari telegiornali.
Di fronte a questo deprimente spettacolo, viene in
mente soltanto una cosa: sfondiamoli!
02 maggio 2015 RECANATI E’ L’EMBLEMA
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Per andare a Recanati non ci si può sbagliare: la
fermata del bus è davanti al kebabbaro, così ci dicono tutti. Infatti, dopo
un’abbondante colazione in albergo, incuranti e direi anche sprezzanti dell’effluvio del kebab, io, Mari
e Sara ci infiliamo sul pullman, perché Recanati è l’emblema; se almeno una
volta nella vita non sei andato a Recanati, allora sei un…
Una volta arrivate presso il natio borgo selvaggio di
Giacomo, riempiamo i nostri occhi di armonia e dei versi del celeberrimo autore,
disseminati un po’ ovunque, tra le strade e sui muri. Quindi incontriamo due
suoi compaesani: il primo è uno strano individuo che non è in grado di
scattarci una fotografia, affliggendosi per la sua negligenza; il secondo, al
contrario, ci sottopone a un servizio fotografico davanti alla casa di Leopardi
e nella piazzetta del Sabato del Villaggio.
La visita della dimora di Giacomo è altamente
suggestiva, non soltanto perché possiamo “toccare con mano” gli oggetti e i
luoghi che l’hanno visto formarsi, ma anche perché, grazie a una guida
preparata e brillante, apprendiamo dettagli molto interessanti sulla vita
dell’autore.
Ancora oggi, a Villa Leopardi, vivono dei discendenti
di questa famiglia, per esempio una certa Olimpia…
Ci soffermiamo a lungo davanti alla finestra dalla
quale il poeta contemplava Silvia riflettendo sull’inganno delle illusioni,
tuttavia già pensiamo al pranzo: due ragazzi ci consigliano il
ristorante di via Leopardi, in cui gustare prelibatezze locali molto genuine. La scelta
è più che mai azzeccata, e dopo un pranzo soddisfacente proseguiamo la visita,
in un posto dove il tempo sembra essersi fermato e le facciate delle chiese o
delle antiche abitazioni sembrano ricordarcelo.
Ci attendono il Colle dell’Infinito, la Torre del
Passero Solitario (che facciamo un po’ fatica a trovare, a dire il vero) e
infine il Parco Letterario: è qui che Mari viene colta da un altro momento
pirandelliano, tanto intenso da terrorizzare un incauto turista.
Ciao Recanati! Partiamo alla volta di Loreto, che si
presenta in tutta la sua solennità: dalle eleganti mura cinquecentesche, erette
per difendere questa meta di pellegrinaggio dai Turchi, all’imperdibile piazza
principale, con la Fontana Maggiore e, ovviamente, il Santuario, l’attrazione più
significativa… ops, volevo dire emblematica!
Al suo interno si trova la Santa Casa della Madonna
che, secondo la tradizione, sarebbe stata portata qui dagli angeli: ecco perché
questa reliquia, insieme alla statua della Madonna Nera, è venerata da persone
provenienti da tutto il mondo.
Merita una visita anche il belvedere che si affaccia
sul mare e sul promontorio del Conero.
L’incanto poetico di questa giornata viene però
interrotto in hotel, a cena, quando Mari, di fronte al mio pesce al cartoccio,
spiega candidamente che si cuoce grazie al suo stesso sudore… non so perché, ma
mi è passato l’appetito, comunque devo dire di essere riuscita a spinare
l’orata molto meglio rispetto a ieri sera! Sto facendo progressi, ma non posso condividerli
con le mie amiche, dato che Mari è troppo impegnata a dare coppini sulla
scottatura della povera Sara!
Beh, la scottatura è l’emblema!
03 maggio 2015: UNA SIGNORA SDENTATA E CONTENTA
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Di nuovo in treno! In viaggio per Ancona, ultima
tappa di questo tour, Mari sfoggia delle impressionanti abilità circensi,
afferrando senza indugio valigie volanti, che vagano pericolosamente sulla
carrozza.
Una volta giunte presso il capoluogo marchigiano,
Sara ha un’idea geniale: lasciare i bagagli presso il deposito per essere più
libere durante la visita. E il deposito dei bagagli si trova giustappunto nel…
gabinetto della stazione.
Ma non temete: è tutto sotto controllo, e già che ci
siamo ne approfittiamo anche per usare i servizi.
Dopo aver lasciato zaini e trolley nella cloaca,
eccoci pronte a scoprire Ancona. A dire il vero, l’incipit non è dei migliori,
dato che il quartiere della stazione è, com’è tipico, piuttosto malfamato; noi
ci ostiniamo a dar retta al navigatore per ritrovarci... sul cavalcavia di una
superstrada.
Dato che quest’attrazione non è poi così emblematica, ci guardiamo tutte e tre negli occhi e mettiamo via lo smartphone:
meglio seguire l’istinto!
In breve, riusciamo a imboccare una strada sensata,
che costeggia il lungomare Vanvitelli per poi culminare a Porta Pia, monumento
che a me, sinceramente, non comunica nulla.
Cammina cammina, in una mattinata sudaticcia e
afosetta (ah, già rimpiango la camminata sulla spiaggia di Porto Recanati,
tra salsedine e brezza), entriamo nel centro storico, silenzioso e quieto.
Piazza della Repubblica, il Teatro delle Muse,
Palazzo Ferretti, via Pizzecolli, piazza Plebiscito e la chiesa di San
Francesco alle Scale sono da non perdere ma, a proposito di scale, questa città
è verticale… tutta in salita. Buona parte del fascino di Ancona dipende anche
da questo: è un’ascesa verso la Cittadella, dominata dalla Cattedrale di San
Ciriaco.
Ma prima di arrivarci, ci scappa una visita non
programmata al museo archeologico: è aperto, gratuito e gli addetti all’entrata
ci tengono tanto, anzi ci rimangono male se non lo visitiamo in modo accurato!
Alcune sale, come quelle dedicate al periodo greco, sono interessanti, mentre
sulla Preistoria andiamo veloci. Dobbiamo salire ancora un bel po’…
destinazione: San Ciriaco.
La cattedrale si trova sulla sommità di Ancona ed è
davvero spettacolare: una basilica paleocristiana, in cui lo stile romanico e
quello bizantino si sposano armoniosamente… davvero interessante!
Poi, siccome la discesa è sempre più rapida della
salita, prima di giungere in stazione e ritirare, in bagno, i bagagli, abbiamo
anche il tempo di fermarci in un bar del famigerato quartiere dei bassifondi. Veniamo
accolte da una barista sdentata ma dal sorriso gioioso, intenta a nasconderci
in tutti i modi la bisca clandestina che ha luogo nel retro del locale, tra
grida minacciose e fragore di sedie scagliate qua e là.
Noi ricambiamo il sorriso, lo stesso che avremmo
rivolto a Giacomo se la nostra gita recanatese avesse avuto luogo nella prima
metà dell’Ottocento, il sorriso che lui stesso, poco prima di lasciare questo
mondo, ha rivolto alla natura oltraggiosa, a un destino amaro, a chi ha tentato
in ogni modo di sminuirlo, a un infinito che non si fa comprendere.
Il sorriso di un uomo grande, dall’indole
generosa…
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir.
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir.
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