venerdì 10 agosto 2007

BUDAPEST 2006



Un posto dove due città si fondono armoniosamente…
Un posto dove le biciclette non fanno complimenti… crash!
Un posto dove il clima può riservare “qualche” sorpresa…

CALDA, FREDDA, PAZZA BUDAPEST!
(30 luglio – 3 agosto 2006)

30 LUGLIO: MENO MALE CHE C’E’ IL BARBIE TOUR!
E va bene tutto… passino anche i ritardi aeroportuali, lo scorno dei vacanzieri che tentano di superarti al check-in e l’afa insopportabile che quest’estate ha messo in ginocchio mezza Europa; siamo disposte a qualsiasi cosa pur di arrivare a Budapest, la nostra agognata meta, ma un altro overbooking no, non possiamo proprio accettarlo. Stentiamo persino a crederci quando la signorina dell’Alitalia, con un tono non molto rassicurante, pronuncia l’iniqua sentenza che comprometterebbe la nostra partenza per la capitale ungherese. Ahi, scellerato mondo del commercio turistico, dove, per vendere qualche biglietto in più, si uccide il sogno di un viaggio!
Ma non tutto è perduto: ecco Anna farsi avanti, conquistare il primo posto di fronte all’operatrice… tre passeggeri non si sono presentati, è fatta, Budapest è nostra! Io e Patrizia, memori dell’esperienza madrilena, tiriamo un sospiro di sollievo, anche perché questo inghippo dell’overbooking sta cominciando a diventare un’abitudine alquanto molesta.
Bene: sono solo le nove e ventiquattro e abbiamo già qualcosa da raccontare ai posteri… come? Le nove e ventiquattro?? L’aereo parte tra un minuto… senza di noi?! Giammai! Armate di biglietti e buone gambe, ci cimentiamo in una fuga precipitosa verso l’imbarco degna di tre furfanti braccati dalla giustizia, senza esclusione di gomitate, bruschi superamenti dei turisti e scorribande varie, anche se non sarebbe auspicabile, cari lettori che mi (in)seguite nella narrazione.
In breve superiamo i controlli e siamo sull’aereo, poi a Budapest, all’aeroporto, con le tasche colme di fiorini che ci fanno sentire milionarie, sul mini-bus diretto all’albergo, una struttura raffinata dalla facciata azzurra e gli interni in stile liberty: pensiamo addirittura che appartenga al patrimonio mondiale dell’Unesco, come del resto la maggior parte dei monumenti della città.
La nostra prima tappa prevede una salita al monte Gellert, dove un tempo, secondo la leggenda, si davano convegno le streghe. Dalla sommità dell’altura è possibile abbracciare con la vista tutta Budapest, e infatti Patrizia non perde occasione di immortalare lo splendido panorama con l’inseparabile macchina fotografica. Ma, ahimè, la salita è affannosa, il caldo opprimente non giova ai viandanti e alla fine ci ritroviamo stremate sulla cima del monte, tentate di proseguire il percorso a bordo di uno dei numerosi pullman turistici che ci sfrecciano accanto promettendo di farci ammirare tutte le bellezze della capitale in sole due ore. Non prima di aver contemplato la statua della Libertà, eretta in occasione della liberazione dal regime nazista da parte dei sovietici (che bella libertà si prospettava per gli ungheresi!) nonché la Cittadella, che ospita diversi musei, ci mettiamo alla ricerca di un city-tour, ma, attenzione: questi pullman non partono dalla cima del monte come alcune guide turistiche vanno millantando! Pertanto siamo costrette a tornare giù, e l’unico mezzo in cui ci imbattiamo è uno zuccheroso pulmino rosa, che sulla fiancata reca orgogliosamente il nome “Barbie Bus”. Si può fare. Il giro è tutt’altro che stucchevole e ci conduce attraverso alcuni dei luoghi più emblematici della capitale, a cominciare da Buda, con la Cittadella, il quartiere della Fortezza, il Bastione dei Pescatori, l’imponente Palazzo Reale, la barocca S. Anna e la chiesa di Mattia, sorseggiando l’acqua (italiana) offerta dalle Barbie-girl, assistenti di questo entusiasmante tour in cui varchiamo, tra l’altro, alcuni ponti da non dimenticare come il ponte delle Catene, il più antico, quello di Francesco Giuseppe e quello dedicato a Elisabetta, sino a giungere, finalmente, a Pest. E qui tocca anche a noi il nostro momento di gloria, perché l’hotel in cui alloggiamo viene menzionato dalla guida, prima di toccare altri monumenti come il Parlamento, l’Università, la basilica di S. Stefano, l’Opera, la stazione Est, il museo Nazionale Ungherese, l’isola Margherita, viale Andrassy e infine la piazza degli Eroi, delimitata dal museo delle Belle Arti e dalla galleria di mostre permanenti, a ridosso del grande parco civico, il Városliget.
Al termine del tour siamo praticamente abbronzate, per via del solleone che ormai da qualche settimana si ostina a scaldare l’Ungheria, provocando un’afa eccezionale e temperature tali da meravigliare gli stessi autoctoni.
Ci risolleviamo cenando in un ristorante a gestione familiare, dove si mangia bene (tra le specialità: la carne, lo zoccolo, lo gnocco, detto galuska… e ovviamente paprica a volontà), si spende un’inezia, e i camerieri non esitano a sfoggiare le loro abilità pittoriche, disegnando su un block notes i piatti che non siamo in grado di comprendere dal menù. Pesti Vendéglö. Consigliabile.

31 LUGLIO: DA BUDA CON CALORE
Che caldo! Per l’ultimo giorno di luglio sono previste temperature record ovunque, e a complicare le cose ci si mette un ragazzone brasiliano, incrociato nell’ascensore dell’albergo al ritorno dalla colazione. L’emulo di Ronaldiño vorrebbe canzonarmi, ma io gli ricordo che l’Italia è campione del mondo, e lui non può fare altro che andarsene avvilito, perché la maglia verde-oro che indossa vale davvero poco!
A proposito di sport, in questi giorni a Budapest si svolgono gli europei di nuoto, e pertanto a malincuore rinunciamo all’escursione al lago Balaton, dove sono previste alcune gare, per restare in città. Qui siamo sopraffatte dalla magnificenza della basilica di S. Stefano, la più grande chiesa di Budapest, in stile neorinascimentale, dedicata al primo re dell’Ungheria.
Procediamo quindi verso Buda con la funicolare, che ci permette di raggiungere il Palazzo Reale e la chiesa di Mattia, gioiello neogotico.
Al Bastione dei Pescatori troviamo ristoro, fresco, qualcosa da bere, uno splendido panorama sul Danubio e anche un gruppo di donne messicane che si uniscono a noi per le fotografie: «Todos insieme!». Patrizia dapprima è perplessa, ma la sua macchina fotografica non si arresta di fronte a nulla. Io invece vorrei proprio fermarmi, perché l’afa mi disarma, impedendomi di pensare a un itinerario per il pomeriggio. L’ancora di salvezza, meta di tutti i budapestini e turisti piegati dal caldo, è l’isola Margherita, la più grande area verde della città, situata tra Buda e Pest, in cui un trenino porta a spasso la gente attraverso le varie zone del parco, come il roseto e un’area riservata agli animali. Qui Patrizia può fare la conoscenza con anatre, anatroccoli, galline, tartarughe, pesciolini, resi alla perfezione in ogni loro dettaglio fotografico, ma soprattutto si imbatte in uno strano animale, non identificato, di modeste dimensioni e ricoperto da piume bianche. Che si tratti della nostra cena di stasera?
Invece anche stavolta scegliamo bene: puntiamo a un ristorante del Caucaso! Il Marquise de Salad offre una varietà di piatti ungheresi, russi, caucasici e persino azeri. Sia la bistecca con patate al cartoccio, sia l’insalata al pompelmo ci soddisfano pienamente. Altro che gulasch!

1 AGOSTO: ACQUA DA TUTTE LE PARTI
Il nostro terzo giorno ungherese è inaugurato dalla visita al mercato coperto, e, a dire il vero, anche il cielo è coperto sopra Budapest, ma noi non ce ne curiamo, e passiamo oltre questa facciata in stile liberty ungherese, che tutto sommato non è un monumento fondamentale della città, ma almeno al suo interno è possibile fare una capatina presso le bancarelle in cui si vende il perec, pane al formaggio diffuso in queste zone. È la volta della chiesa parrocchiale di Belvarosi, la più antica di Pest, risalente addirittura al XII secolo, ma caratterizzata da un aspetto che tradisce le sue origini romaniche a causa delle alterne vicende subite dall’edificio nel corso dei secoli.
Proseguendo oltre la parrocchia si giunge al Parlamento, che purtroppo non riusciamo a visitare: occorre infatti presentarsi molto presto al mattino per accaparrarsi i biglietti e prenotare l’ingresso. A nulla valgono i tentativi di alcuni nostri connazionali, perché gli ungheresi, quando vogliono, sono irremovibili.
Non ci resta che riparare al museo delle Belle Arti, dove, tuttavia, si inaspriscono i dissapori nei confronti dei budapestini, i quali vanificano qualsiasi tentativo di dialogo per via della loro ostinata intransigenza. Tanto per cominciare mi negano la possibilità di procurami una mappa delle sale al grido di «no fiorini no map»; quindi infieriscono su Patrizia e la sua macchina fotografica, che, stavolta bisogna proprio dirlo, non aveva fatto ancora nulla di male! Per completare il quadro, il piano dedicato all’arte italiana è chiuso, la mostra su Rembrandt è una bufala (si tratta di opere realizzate da artisti contemporanei ispirati al grande pittore) mentre quella su Picasso è un po’ povera; inoltre la Budapest card non è così vantaggiosa perché persino il tesserino di Lettere permette di ottenere sconti maggiori. Mentre osservo incupita le opere di Dürer, Bruegel, Cranach e l’ampia sezione sulla pittura spagnola, ho un sussulto: «Patty! La guardiana si è addormentata, ora puoi farle una foto!».
All’uscita dal museo non ne possiamo più degli ungheresi, sempre pronti a porgerti una mano, ma solo se si tratta di chiedere una mancia. È vero, non è possibile generalizzare, perché qualche volta abbiamo ravvisato cortesia e sollecitudine, magari nelle persone incontrate per caso tra le vie di Budapest, ed è giusto rendere loro onore, ma sta di fatto che al Városliget ci teniamo lontane dagli autoctoni e dalle loro biciclette impazzite (una donna anziana è stata travolta in pieno dai feroci mezzi) per imbatterci in tre ragazze di Torino: Olga, Giulia e Simona, protagoniste di un inter-rail attraverso l’Europa dell’Est. Anche le nostre connazionali ci confidano alcune disavventure causate dall’ostile ospitalità dei budapestini, in particolare nei bed and breakfast. Le lasciamo per recarci al castello di Vajadahunyad e addentrarci nel vasto parco civico.
Il clima sembra più fresco rispetto ai giorni precedenti, e così vorremmo approfittarne per visitare le grotte di Buda, ma, ahimè, non ascoltiamo Anna, la quale aveva fiutato il cielo presago di tempesta, e in breve siamo sorprese dal diluvio! Vento, fulmini, pioggia… e che pioggia! Sono sufficienti pochi istanti, neppure il tempo di ripararci sotto il vicino ponte, e siamo grondanti dalla testa ai piedi. Il temporale ci costringe a rimanere a lungo in questi “bassifondi”; poi, quando la pioggia è un po’ meno offensiva, corriamo rovinosamente verso l’albergo. Vorrei chiamare un taxi… il numero è facile: 2-222-222. Ma quanti due? Forse c’è un due di troppo: dobbiamo rassegnarci.
Doverosa la cena in hotel, con il cameriere che disegna un cervo sul tovagliolo: è il loro modo per spiegare il menù agli stranieri, mentre io, che gradirei il miele nella tazza di latte bollente, degno epilogo di questa giornata campale, sono addirittura costretta a mimare l’ape Maia esclamando, con quel poco di voce che mi è rimasta, «honey, honey!».

2 AGOSTO: SUL BEL DANUBIO… GRIGIO!
Giunte al nostro quarto giorno ungherese, ci svegliamo di buon’ora per dirigerci senza indugio verso il Parlamento, decise a visitare il monumento più importante. Durante il tragitto incontriamo nuovamente le amiche di Torino, perché il fascino di Budapest consiste anche in questo: sebbene sia una grande città, affollata e talvolta dispersiva, fioriscono sempre occasioni di incontro e scambio con volti già noti, anche senza accordarsi. Tuttavia, per sicurezza, fissiamo con le ragazze un appuntamento a cui nessuno potrebbe sottrarsi: un pranzo presso l’antica, rinomata, gustosa pasticceria Gerbeaud.
Malgrado i miei pensieri siano già rivolti agli squisiti dolcetti ungheresi, seguo volentieri l’interessante visita all’interno del Parlamento, e, anzi, per poco la signora Katerina, guida affabile e premurosa, non mi nomina sua assistente, interrogandomi sullo stile eclettico che caratterizza l’edificio nonché sulle statue dedicate ai più illustri sovrani ungheresi.
Mentre attraversiamo le sontuose stanze, tra neogotico e art nouveau, la signora, che concede di scattare qualche fotografia (per la gioia di Patrizia), svela la sua più grande preoccupazione: mantenere il nostro gruppo separato da quello degli spagnoli, i quali incedono minacciosamente dietro di noi. «Allontaniamoci dagli spagnoli, che è la cosa più importante» ripete, quasi ossessionata dalla loro presenza.
Finalmente Gerbeaud. In compagnia di Olga, Giulia e Simona assaporiamo le specialità della casa, come il gelato, la torta Dobos e un particolare tipo di Sacher. Unica nota negativa: la cameriera che vorrebbe 1000 fiorini in cambio di una foto. Crucciate per l’avidità dei budapestini, ci avviamo tutte insieme fuori città, verso un luogo che, badate bene, non è menzionato dalle guide turistiche. Per raggiungerlo occorre salire su un treno e poi su un altro ancora, in aperta campagna, fino al capolinea.
«Sarà un po’ come andare da Milano a Sesto» commenta Anna, e invece ecco palesarsi di fronte a noi S. Andrea[1], antico borgo di origine romana, dove l’atmosfera è ridente e serena.
Siamo oltre Obuda, oltre gli scavi archeologici e l’anfiteatro. I romani chiamavano questa zona Aquinicum, che significa “acqua abbondante”. E manco a dirlo comincia a piovere. Ma è soltanto qualche goccia, incapace di turbare la calma che respiriamo in questo villaggio a ridosso di Budapest. Ne è capace però un attempato cocchiere, con tanto di cavallo bianco, il quale ci intima di non fotografare il suo destriero, tra l’altro un po’ malandato, se non dopo aver concordato una giusta tariffa. Ma allora è un’abitudine!
Le ore scorrono leggere e fugaci quando si è in compagnia; il ritorno a Budapest è un attimo, e così, una volta superato il ponte delle Catene, dobbiamo salutare le nostre compagne di viaggio, dirette all’isola Margherita.
Di certo sentiremo la loro nostalgia, ma anche questo fa parte del viaggio. Intanto pensiamo a goderci la nostra ultima serata in Pannonia! La trascorriamo a bordo di un battello sul Danubio, e in un paio d’ore solchiamo il romantico fiume, cenando e assistendo agli spettacoli proposti.
Qualcuno sostiene che ormai il “bel Danubio blu” si sia ingrigito, cedendo così il passo a un’epoca più opaca e prosaica. Ma come è possibile restare indifferenti di fronte allo spettacolo delle sponde inondate dalla luce crepuscolare, e poi, più tardi, della cupola di S. Stefano, che domina Pest, nel suo fulgore notturno? Il gioco delle luci che si riverberano sull’acqua, accompagnato dalle note di melodie ungheresi e un ricco buffet, ci offre squarci suggestivi, e allora persino la signora che se ne sta imbronciata accanto a noi, e da quando siamo arrivate non ha fatto altro che guardarci in cagnesco, a fine serata si avvicina trepidante a Patrizia per chiederle una fotografia.
È proprio un addio in grande stile a questa città così maestosa, così fiera, percorsa nei secoli da una storia travagliata. Ma il nostro viaggio non è ancora finito: siamo pronte, l’indomani mattina, a tuffarci nelle terme.

3 AGOSTO: BABBUINE ALLE TERME
Le celebri terme Gellert, decantate per la loro magnificenza, sono certamente degne di questa fama se si considera lo sfarzo degli ingressi e l’eleganza delle piscine; perciò sono tentata di provare la pedicure, ignara di quel che attende me e la mia compagna di sventura, Patrizia…
All’interno della struttura, infatti, tutti i dipendenti trattano i turisti con fare dispotico, oltre che insolente. Così, se alla reception non riusciamo a farci capire perché l’operatrice si rifiuta di rispondere alle nostre domande, all’interno la povera Patrizia prima viene derisa e cacciata in malo modo dalla piscina, rea di non possedere l’asciugamano (per lei niente bagno), e poi, quando mi raggiunge alla pedicure, è costretta a subire le angherie della terribile estetista, la quale inveisce più volte contro di lei, pretendendo il silenzio assoluto. Una vera babbuina.
Come se non bastasse la pedicure è antigienica; sarebbe più salubre bagnarsi nelle acque del Danubio che nella tinozza del Gellert, e per giunta è assolutamente inutile.
Lasciamo le terme amareggiate, spazientite, non prima di aver manifestato il nostro disappunto ad alcune delle babbuine che ci hanno impedito di trascorrere una mattinata piacevole (per tutta risposta ci insultano in ugro-finnico).
Incamminandoci verso l’albergo abbiamo occasione di percorrere la via Vaci, caratteristica per i suoi negozi di antiquariato e libri ingialliti, sino a toccare la chiesa di S. Michele, la chiesa Serba e la chiesa Francescana.
All’aeroporto eludiamo la seccatura dell’overbooking, ma dobbiamo sopportare alcuni lagnosi membri della nazionale italiana di nuoto. I loro visi sono un po’ provati, forse a causa della spossatezza dopo tante vittorie?
«Ragazzi, avete fatto le gare? Com’è andata?».
I volti sempre più abbattuti, le teste basse. Qualcuno addirittura digrigna i denti: meglio girare al largo! Forse, se stanno tornando a casa, non sono riusciti a qualificarsi… eppure altri nuotatori italiani si stanno facendo onore presso la piscina dell’isola Margherita, ne siamo sicure.
D’altronde, si sa, i campioni del mondo siamo noi! In barba a tutte le babbuine, coi loro modi burberi e sconvenienti. Ma, magari, sotto quella scorza ruvida e avvezza all’affanno, si commuovono anche loro, guardando il cielo stellato risplendere sul Bel Danubio Blu, che paia il giorno pianger che si more[2].

[1] Szentendre, per l’esattezza
[2] Dante Alighieri, Commedia, Pg VIII

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