Sulle tracce della Sirenetta e dei romantici dipinti di Købke, in una terra animata da favole e… fantasmi!
VICHINGHI E DINTORNI
2 GIUGNO: YOU ARE WELCOME
E’ una verità universalmente riconosciuta che tutti i reduci delle nostre avventure in “trasferta” del periodo universitario sentano, di tanto in tanto, il bisogno di rimettersi in cammino insieme al gruppo “storico” per provare nuovamente l’ebbrezza e quel liberatorio senso di disorientamento («Ele, la cartina!») che solo queste gite possono suscitare. Semplifico il concetto, senza ricorrere a metafore ulissiache: il viaggio must go on, deve continuare. Anche da dottoresse, o dottoresse magistrali, se si preferisce, «o disoccupate» aggiunge Elena stropicciandosi gli occhi ancora assonnati, alle quattro del mattino presso l’aeroporto di Linate.
Che importa, infatti, se solo lei, insieme a una Fabiana (qui la mia entrata in scena: doverosa l’ovazione) di viennese e romana memoria,[1] partiranno alla volta di Copenaghen, dal momento che gli altri inseparabili compagni sono alle prese con esami, tesi o altri impegni? Saranno all’altezza dei precedenti vagabondaggi, e, malgrado sia trascorso molto tempo dall’ultima volta (le fotografie praghesi sono ormai ingiallite), non cesseranno di alimentare guai, equivoci e grasse risate negli autoctoni come nella migliore delle tradizioni.
E così il nostro viaggio ti attraverserà, patria di Amleto e delle squisite waffel, luogo che ha dato i natali a Tomasson[2] e a Kierkegaard[3]. A proposito di quest’ultimo, avrei desiderato rendergli omaggio recandomi presso il celebre cimitero “Assistant Kierkegaard”, dove è sepolto insieme ad altri illustri personaggi danesi, ma non c’è nulla da fare: la mia proposta non trova credito presso Elena, la quale, già sull’aereo diretto a Copenaghen, si mostra reticente, così come a Parigi mi aveva negato il pellegrinaggio baudelairiano e a Praga quello kafkiano… il sommo filosofo precursore dell’Esistenzialismo dovrà mettersi in coda con gli altri!
Suvvia, le discordanze sul programma sono presto dimenticate al nostro arrivo nella capitale nordica, grazie alla festosa accoglienza dei danesi.
«You are welcomed[4]» è il grido di battaglia che risuona ovunque mettiamo piede, incoronato da sorrisi cortesi e mani che ci riempiono di depliant. Siamo le benvenute dappertutto: all’aeroporto e all’ufficio informazioni, nei bar e nei locali. In albergo poi non ne parliamo. La nostra accomodation si trova proprio nel cuore del quartiere a luci rosse, e non dista molto da Rathus Platzen. Il tour di Copenaghen comincia proprio da lì!
Ancora provate dalla levataccia, deliriamo, esclamando baldanzose qualcosa come «ah, ah! Abbiamo fatto bene a venire qui: senti che bel fresco, e quale piacevole venticello si sta levando? Chissà a Milano, poverini, come crepano dal caldo!». E intanto conveniamo anche sul fatto di indossare maglione e giacca a vento, perché, non si sa mai…
In men che non si dica visitiamo la piazza, con tanto di municipio, palazzi in stile neo-gotico, fontana delle Vergini (tradizione presa a prestito dall’Università Cattolica?) e in men che non si dica l’innocua pioggerella diviene un’acquazzone, la brezza leggiadra cede il passo a un vento che mugghia impetuoso direttamente dal Polo Nord, e il fresco tanto agognato ci congela dalla testa ai piedi, costringendoci a vagare raminghe alla ricerca di una cioccolata calda.
«You are welcomed!»
D’altronde, il clima danese è estremamente variabile, come testimonia una delle costruzioni più interessanti della piazza, il campanile con l’orologio: ogni volta che il sole fa capolino a Copenaghen, il monumento viene animato dall’apparizione di una statua che riproduce una ragazza in bicicletta, sostituita da un’altra fanciulla in pietra, con tanto di ombrello, quando piove e incombono nubi minacciose. Le due figure si avvicendano sul campanile, ma noi per il momento vediamo soltanto la seconda.
Sprezzanti del freddo scandinavo, ecco che ci avviamo verso la via principale, lo strøget, non senza esserci prima soffermate sul monumento dedicato ad Hans Christian Andersen.
La passeggiata è gradevole malgrado le intemperie, ed è arricchita dalla visita alla chiesa del S. Spirito e alla Royal Copenaghen, dove Elena non solo si lascia andare allo shopping sfrenato, ma bisticcia con la commessa del negozio, insinuando dubbi sull’autenticità delle preziose statuine in ceramica.
La piazza dei Frati Grigi è un locus amoenus da non perdere; invece il museo dedicato a Torvalsen, scultore neoclassico, ci delude non poco. Quando mettiamo piede fuori, notiamo che la situazione meteorologica non è affatto migliorata, e la pioggia seguita a imperversare, inducendoci a rinunciare ad alcune delle mete previste: niente Sirenetta per oggi, e pertanto ripieghiamo sulla vasta, accogliente, post-moderna biblioteca dell’università, dove i ragazzi socializzano, si divertono come matti, passano le giornate in compagnia, e, se avanza tempo, studiano per gli esami: forse un Erasmus nei dintorni ci avrebbe giovato!
Per la cena scegliamo un movimentato pub sullo strøget, dove si canta, si balla e si mangia discretamente: ci avventiamo sulla bistecca infreddolite e affamate; tuttavia Elena non può godersi il meritato pasto, interrotto dalla simpatica e chiassosa invadenza di una signora seduta vicino a noi.
«Siete italiane anche voi? Io sono qui per la prima volta, sono di Napoli, se potete consigliarmi qualche itinerario… bla, bla, bla…»
Come da copione, la contessa si lascia andare al piacevole conversare, dimentica orologio e cena mentre Antonella, questo il nome della donna, coglie l’occasione per farsi organizzare il suo tour danese, con tanto di consigli sui musei da vedere e sui ristoranti in cui pranzare. Quando la signora si ritiene soddisfatta, la bistecca è ormai fredda, le patatine immangiabili e io sto già pagando il conto… ma come andarsene senza prima aver ascoltato il complesso rock che suona dal vivo, suscitando la simpatia di alcuni burloni scandinavi, che vogliono a tutti i costi comparire nelle nostre fotografie?
A notte fonda, con una giornata così intensa alle spalle, le nostre condizioni sono davvero pietose. Esauste, bagnate e tremanti per il freddo, siamo incapaci di rammentare la via per raggiungere l’albergo. Vaghiamo per un po’ chiedendo informazioni a destra e manca, ma invano: altro che Viandante del ritorno[5], qui rischiamo di non tornare più!
E poi, improvvisamente, balugina dinanzi a noi la facciata dell’hotel, senza che si possa comprendere come vi siamo giunte…
«You are welcomed…»
Giunte in camera, passiamo sotto il phon i vestiti inzuppati e strizziamo le scarpe. Mentre Elena si scongela sotto la doccia bollente (arduo regolarla), io scopro di avere una brutta congestione nasale, come si evince dal colore rosso acceso dell’unica parte del mio corpo rimasta scoperta durante questo primo giorno danese. Siamo davvero le benvenute?
3 GIUGNO: VAFFELBAGEREN!
Incredule e meravigliate alla vista di un timido, sbiadito, anemico sole dalla finestra della stanza, ci precipitiamo in sala colazione, dove conosciamo un numero spropositato di persone, come un’anziana signora belga, simpatica giramondo, profonda conoscitrice di molte culture, che si è avventurata da sola in svariati paesi europei, tuttavia incapace di aprirsi la porzione di marmellata. Così l’aiutiamo e lei ci racconta entusiasta della sua nazione ma anche dei numerosi viaggi compiuti. E poi… come non menzionare il gruppo dei siciliani? Lidia, il suo silenzioso fratello, Valentina e Valeria ci suggeriscono qualche tappa irrinunciabile, e noi ricambiamo volentieri.
Ma, il naso? Altro che romanzi di Gogol[6], il problema sembra più serio del previsto: non solo è dolente e congestionato, ma attira l’attenzione di tutti divenendo oggetto di scherno da parte di alcuni turisti tedeschi incontrati in ascensore per via del colore rosso fuoco: «Italia… vino buono!»
Così ci mettiamo in cammino. Ancora una volta in giro, ancora una volta per le vie di una bellissima città, ancora una volta senza un euro, o quasi, perché la vita a Copenaghen è carissima, ma almeno stavolta il tesserino di lettere (ebbene si, l’abbiamo conservato!) ci permette di sfondare come un ariete le porte di tutti i musei, a partire dalla Glyptotek, dove entriamo gratis senza alcun problema. La sorprendente struttura ospita una serra floreale e numerose opere di valore come Il bacio di Rodin e i paesaggi di Købke, uno dei maggiori interpreti del Romanticismo danese: è amore a prima vista! Davanti ai suoi quadri comincio a schiamazzare e a recitare alcuni versi che mi sovvengono; Elena, indignata, attacca bottone con la guardia per scoprire come raggiungere le sale nelle quali è possibile ammirare le opere degli Impressionisti, dato che la Glyptotek è strutturata in modo labirintico e tortuoso. Nonostante le sue indicazioni, infatti, ci ritroviamo nella sezione dedicata all’arte egizia, per poi imbatterci finalmente in Degas e colleghi.
Gli altri due musei della mattinata sono immersi in un parco con tanto di laghetto e gazze ladre che animano il nostro picnic: il primo ha un nome impossibile da pronunciare, qualcosa come Den Hirschsprungske Samling. Si tratta di una meta poco nota ai turisti, e difatti siamo le uniche visitatrici della giornata. In compenso veniamo accolte festosamente dal personale annoiato, non paghiamo nulla, e percorriamo in tutta tranquillità le modeste stanzette dove apprezziamo Købke e in generale la pittura danese.
Nei dintorni sorge la struttura del Statens Museum for Kunst. Stavolta si tratta di un grande museo, di fama internazionale; eppure anche qui riusciamo a farla franca esibendo i famigerati tesserini: ci sentiamo molto free oltre che welcomed!
Durante la visita non siamo colpite tanto dalla presenza di opere insigni come quelle di Picasso, degli Espressionisti, dei Surrealisti (senza dimenticare la pittura fiamminga), ma, piuttosto, a turbarci non poco è la straniante scritta che leggiamo su una porta: “hospital”.
Siamo proprio curiose di sapere che cosa si celi all’interno della sinistra entrata, come possa un ospedale essere ubicato in un museo… esitanti, ci decidiamo a entrare nella stanza dove è stata allestita un’opera d’arte contemporanea di gusto discutibile e di certo un tantino inquietante: la perfetta riproduzione di una stanza d’ospedale, con tanto di malati gravi (in cera), flebo e molti altri particolari. Raggelante. Elena se ne va deprecando l’arte contemporanea mentre io mi allontano sconcertata e anche un po’ delusa: se almeno l’opera d’arte avesse incluso un medico reale, infatti, gli avrei chiesto una consulenza per il naso, dolente e paonazzo, che non mostra segni di miglioramento.
Il freddo certamente non giova, tuttavia non ci impedisce di recarci al Rosemborg Slot, e dunque di varcare le soglie del celebre castello di Copenaghen, dove ci attendono alcune sorprese: oltre a pagare il biglietto e a essere più volte rimbrottate dagli inservienti per insulsi motivi, ci imbattiamo nelle guardie reali danesi, le quali impugnano armi da fuoco e ci guardano in cagnesco perché l’orario di chiusura è vicino, e noi dobbiamo ancora visitare le stanze nonché il tesoro. Non ci perdiamo d’animo e cominciamo a guardarci intorno, sebbene i danesi seguitino a terrorizzarci minacciando di chiudere da un momento all’altro.
«Dicono sempre così per mettere fretta alla gente, ma poi figuriamoci se non controllano che tutti siano usciti prima di chiudere…»
Quando ultimiamo la visita alla stanza del tesoro e torniamo nel giardino, siamo piuttosto sorprese nel constatare che siamo rimaste praticamente sole, fatta eccezione per le terribili guardie armate fino ai denti. Effettivamente abbiamo sforato di un quarto d’ora rispetto all’orario di chiusura. Tutte le porte intorno al grande parco sono, inspiegabilmente, chiuse. Dubbiose sul da farsi erriamo per un po’ intorno alla fortezza, confortate soltanto dalla bellezza del giardino, tanto che vagheggiamo l’idea di accamparci lì per la notte. Poi Elena scorge una locanda ancora aperta all’interno del complesso; quale migliore occasione, pensiamo, per gustare il famoso pane col burro (per loro è addirittura un piatto tipico nazionale)? Ma veniamo accolte in malo modo dall’ostessa (e questo è solo un antipasto di quanto sarebbe accaduto la sera a cena), la quale ci nega anche il più misero spuntino e addirittura ci sbatte fuori dalla porta della servitù non appena comprende che siamo turiste… fuori orario!
In qualche modo, siamo fuori. Destinazione Nyhavn, il quartiere più frequentato dai giovani. Ma quando cerchiamo di prendere la metropolitana, una signora giapponese vuole impedircelo a tutti i costi, vaticinando pericoli e disgrazie per le fanciulle che da sole si arrischiano in metrò! Per nulla intimorite, la scansiamo almeno tre o quattro volte, anche con la violenza, e riusciamo ad accedere ai mezzi sotterranei, che ci permettono di giungere a Nyhavn, la zona più caratteristica della città, solcata da uno splendido canale e costeggiata da numerosi locali.
Nella via, affacciata sul corso d’acqua, è usanza dei giovani perditempo danesi bighellonare allegramente, in compagnia degli amici e di un boccale di birra, rivolgendo epiteti, battute di ogni tipo (veri e propri cori da stadio) ai turisti (e in particolare alle turiste) intenti a compiere il giro panoramico in battello, come del resto anche noi: si salpa!
Il battello ci porta lontano, oltre le vivaci strade di Nyhavn, fino a raggiungere la celebre statua della Sirenetta, posta proprio in prossimità degli scogli, sulla riva dell’oceano.
«Finalmente vediamo questa benedetta Sirenetta» pensiamo raggianti «così almeno ci leviamo l’incombenza e non dobbiamo ripetere a piedi questo lungo tragitto!»
E invece l’imbarcazione non può avvicinarsi più di tanto al monumento, perciò lo scorgiamo soltanto di spalle, da lontano… neppure oggi possiamo dire di essere riuscite a vedere l’emblema di Copenaghen! A ogni modo il tour ci ha soddisfatto mettendoci anche un po’ d’appetito: non sarà arduo trovare un ristorante nel quartiere di Nyhavn.
Entriamo in un locale, anche perché sta ricominciando a piovere, e lì, mi rincresce menzionare il fatto, siamo vittime di un vergognoso episodio di insolenza e maleducazione nei confronti dei turisti (italiani), che non fa certo onore all’ospitalità danese!
Mentre Elena si reca ai servizi dopo aver ordinato, infatti, viene mormorata qualche parola poco carina («ma che c…zo» per la precisione) nei confronti delle uniche italiane sedute ai tavoli, grazie alla complicità della “poliglotta” cameriera, profonda conoscitrice dell’italica favella, la quale impartisce ai suoi colleghi lezioni su come trattare i clienti del Bel Paese che capitano disgraziatamente nel loro ristorante.
Il motivo di tanta ostilità? Una richiesta di chiarimenti riguardo alcune voci dell’incomprensibile menu. Ma come si può negare una risposta alla contessa, che non conosce la traduzione di “ravarbaro” e timidamente si rivolge al personale ozioso?
Eppure gli improperi risuonano nel locale, e ovviamente sono rivolti a noi, che però non siamo sorde e meditiamo vendetta… tremenda vendetta.
Poco dopo la nefandissima cameriera, la quale ha capito che abbiamo capito dai nostri sguardi stizziti, ci serve con aria vergognosa ed esitante il salmone affumicato.
«Thank you» dice Elena, che è una nobildonna.
«A sorate!» esclamo invece io, stando attenta a scandire bene le parole, e il commiato finale non è certo da meno, in un locale dove i clienti non sono welcomed, e dove ci siamo prese la soddisfazione di ordinare soltanto un antipasto, trattandosi di un posto inadeguato. Piatti chiari amicizia brevissima.
Fuori imperversano pioggia e vento, tuttavia eludiamo lo sconforto e camminiamo per un po’, fino a quando non prorompiamo in un grido liberatorio: Vaffelbageren! Siamo capitate infatti davanti alla più famosa gelateria di Copenaghen, dove vengono servite le waffel (o gauffre), squisiti dolci diffusi nel Nord dell’Europa. Vaffelbageren. Il nome suona eroico. E così la serata si conclude con le deliziose cialde che addolciscono i nostri pensieri… e non ci resta che pregustare la gita ai castelli prevista per il giorno seguente…
4 GIUGNO: DINANZI A NOI, L’OCEANO
L’alba che precede la gita ai castelli tanto vagheggiata sembra suggerirci che sarà certamente una giornata impetuosa: ecco perché sveglio Elena un’ora prima del previsto, ansiosa di immergermi nel cuore della Danimarca, verso il selvaggio Nord! Ecco perché mi avvio gagliarda alla colazione mentre Elena arranca rovinosamente verso il bagno. Ecco perché, superato il trauma del risveglio, anche la contessa, una volta giunta nella sala destinata al breakfast, si cimenta insieme a me e agli altri italiani nella lotta quotidiana contro i camerieri che si avvicinano con fare bellicoso ogni volta che un giovane turista cerca di preparare un dignitoso panino con le nefandezze del buffet.
Mentre siamo intente a empire le bramose canne, i soliti siciliani non mancano di passare a salutarci, anche per comunicarci una loro “scoperta”: esiste infatti un metodo infallibile per sbarazzarsi dei camerieri molesti e occuparsi dei panini in santa pace; occorre solamente pronunciare due magiche paroline quando gli screanzati si appropinquano… “hot milk”!
Io ed Elena siamo incredule, e così i nostri connazionali ci spiegano che in Danimarca, o se non altro nel nostro hotel, il latte costituisce una vera rarità. Per questo motivo ai camerieri è stato intimato di non sprecarlo, di servirlo il meno possibile, insomma di risparmiare sul latte e possibilmente ignorare “distrattamente” le richieste degli ospiti.
Carpe diem! Con naturalezza ci impossessiamo di pane e affettati per il pranzo senza lasciarci intimorire dal severo incedere dei camerieri, perché ogni volta che giungono nei nostri paraggi domandiamo “hot milk”: il terrore, pronunziata la scabrosa richiesta, si dipinge sui loro volti già candidi, e si allontanano senza indugio, lasciando via libera allo scrocco!
Oltre ad arraffare cibarie, Elena ne approfitta anche per discorrere senza fretta con le siciliane: ciarlando e garrendo se ne vanno almeno tre quarti d’ora. Come fermarla? E’ l’orologio del ristorante a porre fine alle ostilità: sono le nove meno dieci!
«Ele, alle nove abbiamo l’appuntamento ai pullman, in Rathus Platzen, per la gita ai castelli: non ce la faremo mai!» sbotto, piuttosto incollerita.
Ma la contessa riesce a sorprendermi persino stavolta: in men che non si dica siamo fuori dall’albergo, e qui inizia la corsa, disperata e affannosa, verso la piazza, che non è poi così vicina. Starle dietro è praticamente impossibile, dunque è tutto nelle sue mani… se riesce a correre fino al luogo dell’appuntamento e a fermare il pullman, allora c’è ancora una speranza di vedere i famigerati castelli. Ecco che allunga il passo, speriamo bene!
«Corri, Elena, corri!» Ormai è avanti, e la sua figura è sempre più piccola. Già presagisco le reazioni dei danesi, seccati per via del ritardo, per giunta da parte di due italiane.
«Corri, Elena, corri!» Supera l’ufficio del turismo, il Rivoli e anche i sexy shop senza esitazione… non la vedo più, ma dovrebbe essere quasi arrivata a Rathus Platzen.
Rathus Platzen… qualche minuto dopo anch’io sono lì, finalmente, e, immediatamente scorgo la fermata dei pullman, dove assisto a una scena indecente e surreale: Elena ha appena fermato il pullman, in procinto di partire (non fanno neppure l’appello questi vichinghi!), suscitando le ire di tutti i passeggeri e dell’autista, ma soprattutto della terribile guida! Quest’uomo di mezza età si dirige minacciosamente verso di lei, rivolgendole insulti a volontà (in danese), borbottando qualcosa ai suoi colleghi, mentre i turisti stranieri la guardano in cagnesco. Salviamo la contessa!
Dopo una breve riflessione intuisco che qui c’è bisogno del mio intervento. Con sangue freddo mi butto in mezzo alla mischia, principiando a parlare in inglese con chiunque mi capiti a tiro. Dobbiamo far valere i nostri diritti, e partire per i castelli, costi quel che costi. Lancio un’occhiataccia prima alla guida, intenta a deriderci, e poi agli altri, attorno a noi: cerco conforto, e trovo… Antonella, la signora della prima sera! La partenopea purtroppo non è di grande aiuto, anzi, forse ha maggiori difficoltà rispetto a noi, dato che non trova il suo pullman (destinazione: il tour della Danimarca del Nord) e per di più attacca bottone.
In questa situazione di generale smarrimento, tra i vari schiamazzi e le ingiurie della guida per via del leggero ritardo, riusciamo comunque nel nostro intento e veniamo accettate sul pullman. Il viaggio è piacevole ma non troppo, perché l’omino che dovrebbe parlarci delle bellezze della Danimarca, coglie l’occasione, di tanto in tanto, tra una spiegazione e l’altra, per sottolineare cose poco simpatiche sugli italiani e sulla pizza. Inoltre è visibilmente isterico e mostra chiari segni di instabilità emotiva: siamo finite nelle mani di un pazzo! Eppure il paesaggio, là fuori, è incantevole. Chi l’avrebbe detto che un giorno ci saremmo trovate a tu per tu con queste foreste nordiche, che evocano arcani misteri e hanno ispirato le favole di Andersen? Le casette, candide e suggestive, sembrano proprio quelle di Biancaneve e i sette nani, tuttavia non ci è consentito di fotografarle, perché la guida ce lo impedisce, non c’è tempo, bisogna rispettare la tabella di marcia, e così ci consoliamo con il ricordo…
Il primo castello è il celebre Frederiksborg Slot. Immenso, fiabesco, regale. Meritano anche le stanze, che presentano i tratti tipici del Rinascimento Olandese. Peccato solo che la guida ci conceda poco tempo per ammirarne gli interni, perché la tabella di marcia è pur sempre la tabella di marcia, e dunque diventa difficile persino andare alla toilette, con quest’ansia addosso. Quel che è peggio è il suo tono sarcastico e dissacrante nei confronti dell’Italia e degli italiani (cioè noi), accompagnato da una scarsa dimestichezza col latino (lo correggiamo più volte), ma passi pure; però non ci vedo più quando insinua una battuta sulla mia bassa statura, e pertanto decido di punirlo. Alla sua prima imprecisione, infatti, lo correggo pubblicamente, facendolo sfigurare e privandolo di credibilità davanti a tutti. La vendetta prosegue, implacabile: «nooo! It isn’t Barocco: It is Rococò!!» E se l’abietto cerca dapprima di salvare la faccia con qualche timido «but It is not important», poi è costretto alla resa, e cambia completamente atteggiamento nei nostri confronti, passando dalle infami invettive a una sdolcinata captatio benevolentiae, e facendo sfoggio anche di qualche parolina in un italiano stentato.
La seconda tappa della giornata prevede la visita alla residenza estiva dei Reali, dove assistiamo al cambio delle guardie danesi, caratterizzate da un passo goffo e inconfondibile; segue il pranzo sull’oceano, che esperienza! Tra le specialità locali il salmone affumicato regna sovrano, e noi non ci smentiamo neppure stavolta, perché ci attardiamo al buffet e al pullman aspettano soltanto noi per riprendere il tour. Siamo sempre le ultime! Questo perché ci lasciamo coinvolgere dall’infinita suggestione del posto, sperduto nella natura indomita ai confini con la Svezia, sopra l’oceano che ci suggerisce melodie remote…
«Ma quale musica! Questo è il clacson del pullman, ci stanno chiamando!» Ebbene, dato che il resto della comitiva sta iniziando a odiarci, conviene affrettarsi verso il castello di Helsingør, dove avrebbero avuto luogo le vicende narrate da Shakespeare nell’Amleto. Lì siamo colpite in particolare dai macabri sotterranei, con tanto di pipistrelli, su cui la nostra guida indugia voluttuosamente: niente male, davvero gotico!
La gita, tutto sommato, è stata gradevole, ma la giornata non è ancora volta al termine. E’ la volta del Tivoli, dove passiamo la serata, dopo aver bevuto un’annacquata cioccolata danese ed essere state bidonate dalle siciliane, che non si fanno vive al ludico appuntamento. Il Tivoli, infatti, è un parco giochi di estrema raffinatezza, un vero paradiso per i bimbi, ma anche per gli adulti che hanno voglia di giocare. Come non menzionare il classico giro sulla ruota panoramica? Le attrazioni sono numerose, e, oltre a quelle più tradizionali, non manca la casa di Andersen e altre giostre tipicamente danesi. Che dire, per esempio, del tunnel degli orsetti lavatori? Entusiasmante, magico! Esco decisamente soddisfatta dalla giostra insieme ai bambini, sotto gli occhi di una scettica Elena, che purtroppo è rimasta fuori perché ha smarrito il biglietto.
Poi vorrebbe costringermi a mangiare zucchero filato per star male su giostre tutt’altro che raccomandabili, ma non se ne fa niente, e rincasiamo sotto la solita pioggia incessante.
5 GIUGNO: SCRIVO PER ATTRAVERSARMI
Prima di concludere la visita alla capitale danese salutiamo i nostri connazionali a colazione, con la promessa (non mantenuta) di rivederci, magari per apprezzare il mare della Sicilia. Le occasioni per socializzare sono state brevi ma intense, all’interno di un albergo, che, welcomed a parte, ci è sembrato un po’ anonimo.
Eccoci nuovamente sullo Strøget: percorrendo questa strada ormai ben nota giungiamo, in seguito a una lunga passeggiata, ad Amalienborg Slot, un’altra illustre residenza dove assistiamo all’ennesimo cambio della guarda, un po’ deludente a dire il vero, e non siamo le uniche a pensarlo, come dimostrano gli sbadigli degli spettatori accanto a noi. In compenso la piazza è solenne e maestosa, proprio come la chiesa di Marmo, che si trova nei paraggi. Ma ciò che ci colpisce di più, una volta arrivate verso l’oceano, è il fascino di un antico veliero vichingo, in cui ci imbattiamo prima di ammirare… il monumento più celebre di tutta la Scandinavia!
Finalmente! La Sirenetta ci ha atteso per quattro giorni, arroccata sugli scogli, tutt’uno con l’oceano, mentre noi la snobbavamo, forse un po’ fuorviate da souvenir e cartoline che ce la proponevano in tutte le salse, smorzando il desiderio di vederla. Eppure, così piccola, dall’espressione dolce e poetica, la sua bellezza è superiore alle nostre aspettative, e ammettiamo con gioia di averla sottovalutata: peccato solo che venga decapitata di tanto in tanto da bande di teppisti-vichinghi, in una parola criminali.
Durante il pomeriggio scopriamo un locale un po’ nascosto, in una traversa dello Strøget, dove gustiamo i dolci locali, poco prima di trascinarci con riluttanza verso l’aeroporto… ma il ritorno è d’uopo, rimpianti a parte perché Copenaghen è una città davvero interessante, e per di più partiamo con largo anticipo conoscendo il nostro senso dell’orientamento! Niente paura: stavolta non ci perdiamo, e anzi ci troviamo a vagare nell’aeroporto come Tom Hanks[7] per almeno un paio d’ore: dopo aver fatto amicizia con svariati operatori e aver disturbato a volontà le commesse dei negozi (in questo, lo confesso, sono stata egregia), non sappiamo più come far passare il tempo… diveniamo in breve esperte conoscitrici dell’aeroporto di Copenaghen, eppure ci dimentichiamo di svolgere le attività più logiche, come spendere le ultime corone danesi, ma quando rinveniamo dalla nostra sonnolenza è troppo tardi e dobbiamo imbarcarci.
E’ un volo nervoso. Tutti i passeggeri trasudano nervosismo, si lanciano occhiatacce reciproche e per poco non giungono allo scontro fisico, quando, dopo una lunga attesa, la speaker annuncia che, a causa di un errore della compagnia danese si è verificato un overbooking, e pertanto si chiede gentilmente a quattro passeggeri di rinunciare al volo e rimandare all’indomani la partenza: naturalmente, per far fronte allo spiacevole inconveniente, è garantito il pernottamento gratuito in un hotel di lusso nonché una lauta ricompensa in denaro… apriti cielo! Neanche il tempo di pronunciare queste parole, e una ressa di persone si precipita nel luogo indicato, nell’intento di strappare una notte in più al proprio soggiorno danese! Io ed Elena siamo avvilite e disanimate: impossibile pugnare contro questi scrocconi, anche se l’idea ci alletta non poco.
Guardo la folla che s’accalca, mi piacerebbe sapere chi la spunterà; penso a tutto ciò che non è stato possibile vedere in questi giorni e anche al lavoro che mi attende in redazione l’indomani. Vorrà dire che torneremo, la Scandinavia ci aspetterà, con i suoi manieri sinistri che evocano storie di fantasmi, con il suo freddo spietato che non lascia scampo… già me lo suggerisce questo naso rosso come quello di Rudolf, la famosa renna di Babbo Natale (ma ormai è sulla via della guarigione): forse ti attraverseremo ancora, terra delle waffel e dei vaffelbageren, e intanto perlomeno scriviamo per attraversarci, come disse qualcuno di cui non ricordo il nome.
[1] Allusione ai miei ultimi viaggi
[2] Calciatore, per alcune stagioni al Milan
[3] Sören Kierkegaard (1813-1854), filosofo
[4] Letteralmente, «siate le benvenute»; in genere sta per «prego»
[5] Fabiana Sarcuno (2004), Il viandante del ritorno, Acquaviva edizioni
[6] Nicolai Gogol (1809-1852), autore del romanzo Il naso
[7] Il film che lo vede protagonista all’interno di un aeroporto è The Terminal
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