sabato 11 agosto 2007

PRAGA 2003

Chiara: “la mia postura è sbagliata”
Fabiana: “impagliata?”

Fabiana: “Lecco chiama Praga”
Elena: “come, letto chiama Praga?”

Fabiana: “I will be there…”
Elena: “hai ragione, qui manca il bidè!”

Chiara: “ma non avreste bisogno di un otorino?”
Fabiana: “ma quale motorino! I mezzi sono così comodi!”

L’AMORE E’ CECO… (ma noi siamo sorde?)
Dossier di un viaggio a Praga, con la partecipazione di ONE person THREE people

Estate 2003: TESTA O CROCE?
Nel cuore dell’Europa, quell’Europa lì, intrisa di fiabe leggendarie, di castelli inespugnabili e di melodie remote, sorge una splendida città chiamata Praga, attraversata dalle chiare fresche e dolci acque del fiume Moldava.
Il nostro opuscolo, inoltre, sostiene che l’incantevole capitale della Repubblica Ceca sia circondata da sette colli, un po’ come Roma, ma personalmente ritengo che ce ne sia uno per ogni suo abitante!
Gli abitanti di Praga, come riporta ancora il famigerato depliant, sono circa 1.050.000, ma in una settimana non siamo riuscite a conoscerli tutti, accontentandoci di autisti più o meno nervosi, guide turistiche tutt’altro che taciturne, camerieri, falconieri, gelatai, receptionist, artisti di strada, fans e commesse che hanno (troppa) voglia di prendersi gioco di noi.
Detta la “città dell’oro” o la “Vienna dell’est”, è spesso paragonata anche a Parigi, e non solo per il tentativi di riprodurre la torre Eiffel…
La sua rete metropolitana consta di tre linee: la rossa, la gialla e la verde. Tutto ciò suscita in me il ricordo di un’altra città, di cui ora non vi sovviene il nome. Qualcuno, di grazia, può aiutarmi?
“Roma, Vienna, Parigi, addirittura Milano! Ma questa non è una città, è un plagio!!” replicheranno tutti coloro che non vi hanno mai messo piede. E invece non è vero! Praga è una capitale affascinante, dove le meraviglie sono numerose, e l’atmosfera poetica induce chiunque al sogno e allo stupore. A Praga la musica risuona per ogni via, in particolare il jazz e le canzoni italiane dei primi anni Ottanta: ecco perché i Ricchi e Poveri diventano il nostro cavallo di battaglia: Mamma Maria!
La cucina locale offre una vasta gamma di piatti tipici: il gulash, innanzitutto, ma anche la brodaglia a base di verdure, pesce o carne (a proprio piacimento), la celebre birra ceca, e infine il liquore alla prugna, per la gioia di Elena.
Veniamo dunque a noi: dove andiamo in vacanza quest’estate, a Roma o a Praga? Testa o croce?

27 luglio: I HAVE A PRESENT FOR YOU!
Malgrado il rapido criterio di scelta possa far pensare il contrario, partiamo organizzate: Chiara redige un programma dettagliato e degno di encomio, in cui, tuttavia, abbondano le visite ai cimiteri: inoltre, sull’onda delle alluvioni dell’anno precedente, non esitiamo a equipaggiarci di ombrelli, giacche a vento e K way.
Avendo prenotato presso il solito CTS, dobbiamo adattarci ad alcune caratteristiche della tipologia di viaggio scelta: il volo, infatti, prevede uno scalo ad Amsterdam, per cui è necessario cogliere al balzo la coincidenza. Anche altre persone hanno la stessa preoccupazione, come una ragazza che aspetta ansiosamente all’imbarco di Linate.
“dove va?”
“a Glasgow”
“a Lesbo?”
il nostro viaggio nei cieli dell’Europa è orribilmente kafkiano. Poiché voliamo con una compagnia ceca, presumiamo che il pilota non ci veda. Tra vuoti d’aria e ripetuti sballottamenti, infatti, Elena esprime tutta la sua turbolenza “restituendo” il succulento panino che le era stato servito. Fortunatamente riesce a centrare senza problemi l’apposito sacchettino (il mio). Complimenti per la mira!
Mentre Elena consegna il suo “present” all’hostess, scendendo dal primo aereo, Chiara immediatamente trova la via per giungere all’imbarco per Praga, attraverso lo sterminato e post – moderno aeroporto di Amsterdam.
“ma va veramente a Praga?” domandiamo persino quando siamo a bordo, incredule.
In seguito all’atterraggio e al rocambolesco recupero dei bagagli (senza alcun indugio mi infiltro nell’area riservata ai diplomatici), inizia la disperata ricerca dell’autista incaricato di condurci all’albergo. Fra gli innumerevoli cartelli, finalmente ne troviamo uno che sembra fare al caso nostro… “CARACCIOLO ELENA”, scritto a caratteri cubitali, retto da un omino dall’aria piuttosto seccata e indispettita, a causa del ritardo dell’aereo.
Dopo averci insultato in ceco, e gettato i nostri bagagli nello scalcinato pulmino, dall’aspetto pericoloso quanto fatiscente, l’insano cocchiere inizia una corsa sfrenata e incosciente tra le vie della città, che si conclude con il fortunoso arrivo all’hotel Mira, sane e salve per miracolo. Complimenti per la guida!
Giunte nella hall, tempestiamo di domande il biondo della reception, e scopriamo fin dall’inizio che il nostro inglese è molto meglio rispetto a quello dei cechi.
Non vediamo l’ora di mettere piede in camera, per ritemprarci in seguito al lungo e travagliato viaggio, ma, quando lo facciamo, ci attendono alcune sorprese.
Il luogo in questione, infatti, presenta alcune particolarità. Innanzitutto, si tratta della stanza a cui lo scrittore praghese Franz Kafka si ispirò per scrivere “La Metamorfosi”: durante la notte si riempie di scarafaggi (ed altre bestiole).
Per quanto riguarda gli altri tratti salienti della nostra dimora dell’est, non posso tacere sui cosiddetti “doppi servizi”, il bagno - lavabo separato dal bagno – cesso, e sulla cassaforte che canta e si burla di te, mentre inserisci i tuoi oggetti di valore.
La nostra finestra, infine, si affaccia su un bowling di malaffare, in cui vorrei trascorrere tutte le mie nottate praghesi, ma non è il caso.

28 luglio: QUANTE SCALE!
“Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sonni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto[1]”.
Così, anche noi, dopo aver scacciato le bestiole precipitate sui nostri letti, ci ritroviamo, in men che non si dica, nella sala – ristorante, a mangiare bomboloni e a canticchiare le canzoni di Celentano, piuttosto che Cotugno – Modugno, trasmesse durante la colazione.
“Donna felicità/ non ha l’amore/ glielo troveremo noi…” intona Elena, senza curarsi troppo dei suoi vicini: una contessa può questo ed altro!
“non mi sembra il caso di cantare a squarciagola… prepariamo invece i panini per il pranzo” propone saggiamente Chiara; dunque non facciamo complimenti di fronte al celebre prosciutto di Praga e partiamo alla volta del castello: la nostra avventura ceca è appena cominciata!
In verità stentiamo a raggiungere la nostra meta a causa della scarsa dimestichezza con i mezzi pubblici e della necessità di trovare i biglietti, ma più volte il mio inglese si rivela provvidenziale, e, pertanto, arriviamo al castello accompagnate da una timida pioggiorellina e da una temperatura gradevole.
Inizialmente ci soffermiamo sulla gotica e maestosa cattedrale di S. Vito: le sue vetrate furono realizzate da Mucha, di cui Chiara è una fan accanita. Così, mentre quest’ultima vagheggia un Mucha’s day, ci dirigiamo verso la torre della cattedrale.
“ATTENZIONE: 287 GRADINI!” recita minacciosamente il cartello, a lettere cubitali.
“Se lo scrivono anche in italiano… ci sarà un motivo…” indugio “uomo avvisato mezzo salvato!? Lasciate ogne speranza o voi ch’intrate!?”. Insomma, sebbene le mie reticenze siano tutt’altro che infondate, saliamo su, sempre più su, come i tonni risalgono la corrente; disorientate da un angusto vortice che sembra non finire mai, sopraffatte dallo sfinimento, quando, improvvisamente, appare la cima della torre, nel momento in cui non ci credeva più nessuno.
Tuttavia, anf anf, ne valeva la pena: la vista da quassù è meravigliosa, e abbraccia tutta Praga, la città dalle mille sorprese.
“complimenti per il fiato!”
“non mi sembra il caso di vedere altri panorami dopo questo. E tu, Elena, che dici?”
“ci penso”
… dal tetto di Praga alla cripta… il passo è breve. Così completiamo la visita della cattedrale e ci rechiamo al castello, dove non solo conosciamo una simpatica famiglia inglese che stravede per noi, ma simuliamo anche la famosa defenestrazione (che risate quando alle superiori ce l’hanno spiegata i nostri prof. di storia!), riproducendo l’evento che avvenne proprio presso il castello praghese! Indovinate chi è la “defenestrata”?
Ma ben presto cessiamo di indugiare su finestre, problemi storici e carri di letame: il vicolo d’oro ci attende.
Si tratta di una viuzza artistica e suggestiva, che sembra uscita da una favola di fate e di gnomi. A proposito di questi ultimi, noto con soddisfazione che le caratteristiche casette sono talmente basse, che sono l’unica a non dovermi chinare per entrare, a differenza dei turisti cechi o dei tedeschi.
Lasciata alle spalle la celeste casa di Kafka, Elena decide di fare acquisti, ma la contessa dice ai vari commercianti “ci penso” ogni volta che si tratta di acquistare un souvenir, lasciandoli così in preda al dubbio e all’illusione.
All’interno della galleria del castello, poi, ammiriamo alcune opere di Tiziano e numerosi quadri boemi risalenti all’età barocca, battendo i denti per il freddo a causa della potente aria condizionata.
“complimenti per il condizionatore” scrivo prontamente sul guest book, prima di uscire dal raggelante museo – frigorifero per assistere al cambio della guardia.
Dopodiché abbandoniamo il castello e scopriamo il fascino del ponte Carlo al tramonto, dove gli artisti di strada pullulano, dove tutto è magia, incanto e musica; dove, infine, sorgono le statue dei più eminenti personaggi della Città d’Oro (e non solo), tra cui i patroni S. Vito, S. Adalberto e S. Venceslao.
Passeggiando senza fretta, avvinte dalle splendide vedute dal fiume Moldava, sorge anche il desiderio di cenare, e dove farlo, se non presso la Kampa, l’isoletta praghese, che soltanto un anno fa era stata messa in ginocchio dall’alluvione?
Sopra la Kampa la Kapra Kanta, sotto la Kampa la Kapra Krepa… ma questo ha poco a che fare con gli spaghetti ai crauti che mi servono al ristorante Kampa 14.
Li mangio con riluttanza, prima di proseguire il giro verso le viuzze di Malastrana (che in ceco significa “parte piccola”), brulicanti di turisti, e, last but not least, non poteva mancare Piazza Venceslao by night.

29 luglio: CIAK, SI GIRA!
Buongiorno Praga, buongiorno Maria, con gli occhi pieni di malinconia… buongiorno Elena, esci da quel bagno, lo sai che ci sono anch’io?
Lasciatemi dire… con il cuore in mano… che il pane di segale offerto dall’hotel Mira è delizioso, soprattutto se carpito con l’astuzia e celato nei tattici tovaglioli[2].
Per cominciare, ci rechiamo alla chiesa del bambin Gesù, dove è possibile ammirare la celebre statua, i cui abiti vengono cambiati ogni giorno. Poi è la volta della barocca S. Nicola, prima di intraprendere un’interminabile, ascetica, opprimente (o castrante) salita sotto il sole che ci conduce al monastero di Strahov.
Lì, non solo troviamo ristoro nella quiete confortante e soave del luogo, non solo paghiamo 25 corone per assistere ad una mostruosa mostra, scelta da Elena, che consiste nell’osservare al microscopio surreali insetti (come se non bastassero quelli della nostra camera), ma incontriamo nuovamente l’happy family proveniente da l Regno Unito: Praga è piccola, e i turisti inglesi ci hanno proprio preso in simpatia.
Ma l’idillio di Strahov è turbato da un’orda di cameraman, tecnici del suono, attori e roulotte che ci impediscono di accedere al alcune stanze del monastero.
“stanno forse girando un film?”
Nell’intento di saperne di più, cerchiamo qualcuno a cui chiedere informazioni.
Presso l’entrata del museo notiamo una struttura contrassegnata da un cartello che recita minacciosamente, a lettere cubitali, “KACCA”. In cuor mio penso: ma non sarebbe stato più fine scrivere “bagno”? quindi comprendo di essere giunta alla cassa, e pertanto chiedo alla cassiera notizie riguardanti questo capolavoro cinematografico.
Si tratta di una “fairy tale”, mi spiega, emozionata e sorpresa, dove una principessa viene liberata da un principe… ambientata nel Medioevo, aggiunge, in preda all’eccitazione, come se la principessa fosse lei.
Un film bellissimo, una favola d’altri tempi, a lieto fine, una cassiera incalzata dall’entusiasmo, pronta a spettegolare su attori e registi: in conclusione, le riprese del film ci impediscono di visitare alcune zone del monastero, così ci dirigiamo verso Loreta, e, in seguito ad una breve visita, è la volta del castrante museo di S. Giorgio.
“L’angelo gli sta ponendo l’aureola” commenta Chiara, di fronte ad un quadro.
“ah, che gentile! Gliela sta pulendo?” ribatte Elena, ormai in preda allo spossamento e allo strazio, tra le sale dell’interminabile museo. Anch’io non sono da meno: tra le numerose opere esposte, infatti, mi soffermo soltanto sul piano di evacuazione: “complimenti per il piano di evacuazione” infatti non posso fare a meno di scrivere sull’invitante guest book.
All’uscita, per giunta, piove a dirotto e la temperatura si è notevolmente abbassata, ma ciò non ci impedisce di passeggiare per le vie di Nerudova, Karlova e Malastrana, in attesa dell’ora di cena. Il luogo che abbiamo scelto è U Mecenase, locale storico e caratteristico, intriso di un’atmosfera medievale e raffinata, uno dei posti in cui Carlo IV amava manducare con il suo seguito di baldi giovanotti.
Nel ristorante U Mecenase paghiamo ogni singola mandorla di quelle che mangiamo; in compenso i gestori del locale ci scattano una foto ricordo.
La meta successiva ci permette di gustare la bellezza suggestiva del Ponte Carlo nella sua veste notturna, brulicante di artisti di strada pronti a sorprenderti e regalarti un po’ di musica.
Per un po’ assistiamo all’esibizione di un chitarrista che strimpella “All you need is love”, convenendo sul fatto che la sua presenza sarebbe gradita in albergo a colazione, con tutto il rispetto per i Ricchi e Poveri.
Così, con il cielo stellato sopra noi e la musica del Ponte Carlo dentro noi, torniamo verso la nostra kafkiana dimora, dove la pugna per il bagno – cesso e per il bagno – lavabo si fa sempre più accanita e senza esclusione di colpi…

30 luglio: MILANO – LECCO – PRAGA: SOLA ANDATA
Silenzio, c’è S. Agnese.
In mattinata è prevista una visita a questo museo, che raggiungiamo con qualche difficoltà a causa delle solite riprese del solito film che parla della solita principessa che viene liberata dal solito principe… la fairy tale ci insegue lungo tutta la città, tra un quartiere e l’altro.
La collezione del museo è sterminata e comprende numerose opere d’arte medievale boema, ma anche i fiamminghi e l’amato Kranach… insomma, S. Agnese ci impegna per un’intera mattina, e, all’uscita, non possiamo fare altro che mangiare i nostri panini in un angolo recondito infestato dalle api, prima di visitare più dettagliatamente il quartiere ebraico.
Alla torre dell’osservatorio, invece, incontriamo un gruppo di diciottenni lecchesi appena reduci dall’esame di maturità, e così sono costretta a fare la tutor malgrado sia in borghese (Elena mi smaschera, invitandomi a rispondere alle loro kafkiane domande sul mondo dell’università e a sponsorizzare la Cattolica: hanno optato tutti quanti per la Statale).
In particolare, l’intellettuale del gruppo ci ridicolizza di tanto in tanto, assumendo il ruolo di guida della torre (ma nessuno glielo ha chiesto), e citando particolari storici ed eruditi che ovviamente ignoriamo.
“Come certamente saprete…” esordisce, mentre io ed Elena ci scambiamo qualche gomitata e un paio di sguardi interrogativi, cercando di dissimulare l’imbarazzo.
A nulla valgono le mie battute con Mister Cento e Lode, perché resta impassibile ogni volta che apro bocca: insomma, siamo bocciate in pieno e l’unico modo che abbiamo per liberarci di lui è recarci al più presto alla torre dell’orologio presso il municipio vecchio in piazza Staromezska, uno dei monumenti più significativi di tutta Praga.
Per Chiara “non è il caso di vedere un altro panorama salendo sulla torre” e i nostri piedi, già duramente provati, esprimono il loro consenso, ma di certo non è possibile non assistere allo spettacolo del cambio dell’ora!
Allo scoccare di ogni ora, infatti, i personaggi dell’orologio si animano, e per qualche minuto vivono di vita propria per raccontarci sempre la stessa storia: gli apostoli passano e salutano gli spettatori, la Vanità trascorre il suo tempo davanti allo specchio (un po’ come Elena quando entra in bagno), mentre il Turco dice no con la testa (sembra Chiara, quando propongo di cantare una canzone a squarciagola); quindi giunge la Morte, nella sua veste spettrale, e tutto finisce (intanto un carro trainato da cavalli stava per investirci mentre assistevamo a queste scene).
Pertanto perveniamo presso l’imponente cattedrale di Tyn, sovrastata dalle due torri gotiche, e dopo aver contemplato la bellissima piazza praghese, ci imbattiamo nuovamente (certo che questa repubblica cecata è veramente piccola!!) nei lecchesi, un po’ imbronciati perché hanno perso il loro intellettuale in chissà quale via della capitale: ma allora ogni tanto si perde anche lui?
Poiché non ci sembra opportuno, in vista della cena, abbuffarci nuovamente di Gulash (se mangio altra carne, di notte rischio di sognare le donne di Mucha che cantano le canzoni dei Ricchi e Poveri), decidiamo senza indugi di recarci in un ristorante italiano dall’aspetto elegante e accogliente, “Il corto”.
“Speriamo che corti siano anche i prezzi!” penso, fra me e me.
Ma di certo quel che è corto è il cervello dei camerieri, che non ci permettono di terminare i nostri (notevoli, lo ammetto) piatti, smaniosi di sparecchiare.
Quando stai per finire la pizza o ti resta poca coca cola nel bicchiere, iniziano a fissarti ansiosamente, come se qualcosa li disturbasse profondamente, e non possono darsi pace finché non ti portano via tutto, quando ancora stai masticando l’ultimo boccone…
Così, mentre Chiara cerca di tagliare la bruschetta col cucchiaio, io mi tengo stretto il bicchiere e la cameriera mi osserva stizzita, ma, malgrado ciò, la cena è gradevole, e, soprattutto… italiana!
Lo shopping notturno vede protagonista Elena, desiderosa di acquistare alcuni gioielli d’ambra. Ma deve fare i conti con l’orefice in erba, un intraprendente ragazzino di circa nove anni, il quale, con fare vagamente partenopeo, per poco non la costringe ad acquistare un paio di orecchini, trascinandola alla cassa in men che non si dica.
Ma la contessa è sempre la contessa…
“ci penso! Ci penso! Ci penso!”

31 luglio: GITA AI CASTELLI… NON SPARATE AL FALCONIERE!
Finalmente è giunto il gran giorno della gita ai castelli, Konopiste e Karlestein.
Così, immediatamente dopo colazione, ci presentiamo nella hall con tanto di vaucher (caratterizzato dalla solita scritta a lettere cubitali CARACCIOLO ELENA): e adesso siamo solo noi tre ad andare ai castelli?
Poco dopo un uomo dal volto bonario varca la poderosa porta del Mira, e scopriamo che si tratta del nostro autista: e adesso siamo in quattro ad andare ai castelli!
Il conducente mette in moto il pulmino e bonariamente ci conduce a spasso per le vie di Praga, finché non si ferma presso un altro albergo, dove salgono due svizzeri: e adesso siamo in sei ad andare ai castelli!
Quindi, verso piazza Venceslao, ecco che il pulmino bonario compie un’ulteriore sosta, necessaria per permettere alla nostra guida di raggiungere il suo gruppo: e adesso siamo in sette ad andare ai castelli!
“Good morning, gentlemen!” esordisce il nostro straordinario cicerone “My name is Anne and I will be your guide buongiorno signorine mi chiamo Anne e sarò la vostra guida”
(da quel momento ha iniziato a parlare e nessuno è più riuscito a fermarla…).
La nostra guida è un autentico vulcano, ce ne rendiamo conto sin dall’inizio: oltre a passare con disinvoltura da una lingua all’altra (italiano, inglese, ceco e chissà quale altra forma vernacolare), riesce a stupirci grazie alla sua squillante e implacabile parlantina, che non le consente neppure di prendere fiato…
La donna si impossessa del microfono e inizia a descrivere tutto ciò che è possibile vedere dalla vettura (alla nostra destra e alla nostra sinistra) con la sua voce impregnata di una premurosa e affettuosa logorrea (sarebbe in grado persino di ridicolizzare Daphne!!).
Elena, col proposito di interromperla di tanto in tanto, pone qualche domanda, e, ovviamente, la prima cosa che chiede è : “quando si mangia?”.
Intanto, fra una chiacchiera e l’altra, giungiamo nel paradiso perduto di Konopiste, dove ci attendono liete e pennute sorprese: questa si che è una fairy tale, altro che film!
…Sorge infatti un castello meraviglioso e recondito dove la contessa Elena, la pulzella Chiara e la gentildonna Fabiana vengono accolte attraverso un rigoglioso boschetto, in cui un affascinante falconiere, che sembra proprio uscito da una fiaba ceca, si prende cura degli uccelli handicappati, come recita il cartello a lettere cubitali.
Gufi con la zampina fratturata, aquile col becco fasciato, corvi che hanno subito svariate violenze, civette prive di un occhio, e altre bestiole traumatizzate… chissà che cosa ci trattiene così a lungo nell’idilliaco giardino di Konopiste, mah?
Di tanto in tanto Sammy, il fidato falco del falconiere, sorvola le nostre teste, seguendo amorevolmente i comandi del suo padrone, e rischiando di “falciarci”…
Ma, se mi soffermassi ulteriormente sulle performance dei volatili handicappati e del falconiere, questo diario di bordo rischierebbe di diventare un diario di bird; pertanto passiamo all’interno del castello, che ci viene illustrato dalla nostra instancabile e loquacissima guida, la quale si sofferma soprattutto sulla passione venatoria di Ferdinando Giuseppe, descrivendo particolari raccapriccianti sulla sua ossessione per la caccia. Poi confessa di essere vegetariana.
Tuttavia Anne riesce a dare il meglio di sé soltanto quando entriamo nella sezione dedicata alle armi, dove più volte indugia con gusto su “l’armatura per il culo del cavallo”, di fondamentale rilevanza, a suo avviso.
Quindi torniamo sul pulmino per recarci a Karlestein, che dista circa un’ora e mezza da Konopiste. L’autista guida in modo talmente bonario che non di rado i nostri occhi si chiudono bonariamente, rischiando di sprofondare in un dolce sonno.
Ma il rischio è scongiurato dalla famigerata Anne, che ci desta di tanto in tanto con i suoi commenti sul paesaggio: ci domandiamo quante parole riesca a profferire in un minuto e quanti secondi possa resistere in silenzio!
Ma le nostre curiosità sono per il momento trascurate, perché è giunto il momento di consumare il tipico pranzo boemo (compreso nel prezzo) presso un tipico ristorante boemo (vicino Karlestein) immersi in una natura tipicamente boema.
Il clima, inoltre, fresco, ventilato e frizzante, è tipicamente boemo. La guida si siede insieme a noi, e le portate non tardano ad essere servite: una brodaglia a base di verdure, tanto per cominciare, poi il pollo arrosto con le patatine, e, infine, poiché desideriamo un dolce leggero per concludere il bucolico pasto, Anne ordina per tutti la banana split.
La guida ci sorprende nuovamente, dato che riesce a parlare anche mentre mangia, senza soste, senza interruzioni… senza tregua!
Successivamente ci conduce a Karlestein, il castello dedicato a Carlo IV, a cui Praga deve molto, attraverso un irto sentiero che definisce “romantico”.
Anche questa visita è piuttosto gradevole, sebbene non vi sia traccia di falconieri né uccelli handicappati: in breve siamo nuovamente sul pulmino, dirette a Praga, soddisfatte dell’eccellente gita che ci lasciamo alle spalle.
La guida, poi, a mio avviso, appare piuttosto provata dai suoi sforzi, poiché, fra me e lei, sorgono alcuni malintesi di carattere linguistico – otorino – laingoiatra:
“questo personaggio era soprannominato il «divino boemo», non è vero?” le domando, riferendomi ad un celebre musicista ceco.
“oh… si… il vino boemo è molto buono! Abbiamo diverse specialità per esempio il vino rosso ma anche il bianco…”.
E poi, al momento di accomiatarci: “arrivederci e tante belle cose, Anne”.
“oh… si… a Praga ci sono tante belle cose che potete vedere anche i negozi perché in questo periodo sapete ci sono i saldi…”.
Insomma, non riusciamo più a liberarcene.
La vettura ci lascia in piazza Venceslao, e ne approfittiamo per percorrerla; quindi, giunte presso la Kampa, per compiere un rilassante giro in battello, dove vengo profondamente turbata dalla toilette con vista sul bagno del battello di fronte! Complimenti per la privacy!
Ma l’incontro più commovente della giornata lo facciamo nel tardo pomeriggio sul Ponte Carlo, con una sedicente pittrice di strada.
La giovane donna, caratterizzata da una profonda sensibilità e da un tocco di chiaroveggenza (come si conviene ad ogni rispettabile artista di strada), diviene in poco tempo, appena profferisco parola, una mia devota fan.
Appena mi vede, infatti, colta dall’emozione e con gli occhi lucidi, mi prende la mano esclamando: “tu essere tanto brava! Io capito che tu essere tanto brava!”.
Chiara ed Elena nel frattempo si guardano perplesse. Ma lei, che si chiama Elen, incurante di tutto ciò, seguita a lodarmi; poi parla di sé, delle sue origini S. Pietroburghesi, dei suoi studi compiuti in Italia, mentre Elena nostrana decide di acquistare una delle sue opere, ottenendo un forte sconto perché “essere amica mia, che essere tanto brava”.
Concludiamo questa giornata trionfale da U Flecu, un altro locale tipico di Praga.
Antichissimo, risalente persino al Medioevo, è un luogo caldo, festoso ed accogliente (forse anche perché pullula di italiani, con cui puntualmente io ed Elena attacchiamo bottone) dove due vecchi dal naso rubicondo suonano con la fisarmonica melodie caratteristiche… complimenti per la birra!

01 agosto: MUCHA’S PRIDE
Agosto… Mucha mio non ti conosco? Niente affatto! Finalmente approdiamo al Mucha’s day tanto agognato da Chiara, che si apre con un giro panoramico di Praga Liberty, e prosegue ovviamente con il Mucha Museum, dove veniamo accolte da un guardiano in preda all’apprensione:
“pericula! Pericula!” esclama, non appena mettiamo piede nella prima sala.
Quadri in fiamme? Sezioni del museo devastate dall’inondazione? Falchi che volano rasentando le teste dei visitatori? Ma che cosa ci può essere di tanto pericoloso in un museo?
“pericula… pellicula… pellicola… film”.
Insomma, tutto questo spavento per dire che sta per iniziare il film su Mucha in sala proiezioni!
Devo ammettere di aver conosciuto un artista interessante, malgrado non sia il mio genere e durante il film “periculoso” ne approfitto per schiacciare un pisolino; anche Elena è soddisfatta, ma avrebbe voluto ammirare le opere di altri noti artisti, come il suo amato Wendy Wharol.
Accompagnate da un clima ormai estivo, giungiamo ben presto presso il Palazzo Municipale Nuovo, e ci sembra di essere a bordo del Titanic, per la sfarzosità degli ambienti.
Nel pomeriggio ci tocca il museo delle arti decorative, ma, mi domando, è proprio il caso di vederlo? La risposta è negativa, e praticamente bigio la visita in lungo e in largo; così ne approfitto per scrivere le cartoline arricchendole con frasi in ceco piuttosto ambigue (ma tanto nessuno le capirà).
Tuttavia, poiché sono un narratore onnisciente, è necessario che ricordi gli unici due aspetti positivi del museo, per cui porgo i miei più vividi complimenti (e anelo a non mettervi più piede):
1. complimenti per la sezione dedicata alle cipolle.
2. complimenti per le toilette con macabra vista sul cimitero ebraico (dove fu seppellito anche Franz Kafka).
Tutti al Corto! Il nostro ristorante italiano preferito ci attende, dove il mitico cameriere Billy non vede l’ora di servirmi e vorrebbe anche costringermi a mangiare il gelato, ma stasera non me la sento: sarà per un’altra volta
“comunque, the ice cream is pretty” dico, per tirare su di morale Billy: è biondo, ride alle mie battute, mi guarda divertito e presumibilmente non capisce nulla di quello che dico… insomma, che cosa desiderare di più?
Alla cena segue lo shopping, che modestamente inauguro acquistando una cipolla con tanto di pavone (handicappato) scolpito, mentre Elena visita tutti i negozi, fra un “ci penso” e l’altro.
Chiara è alla ricerca dei cristalli di Boemia, e, finalmente, in seguito a svariati tentativi, li trova, presso un negozio… ironico!
Appena io ed Elena vi mettiamo piede, infatti, le due commesse nullafacenti cominciano a sghignazzare senza alcun pudore!
Per vendicarci, io e la contessa decidiamo di ritornare nel luogo del delitto, stavolta non più disarmate, ma ridendo volutamente e apertamente di fronte alle sardoniche ragazze: insomma, ride bene chi ride ultimo!
È la lotta del riso: noi ci sbellichiamo tenendoci la pancia e loro si scompisciano; noi replichiamo ghignando a crepapelle e loro rispondono smascellandosi a più non posso; non ci diamo per vinte e seguitiamo a sganasciarci, finché non otteniamo la meglio: le ceche ammutoliscono.
Ma le ostilità non si sono ancora chiuse. Ecco infatti la commessa più mordace che incede verso di noi, quindi ci chiede in inglese se abbiamo bisogno di qualcosa: e una scusa per attaccare bottone e domandarci da dove veniamo, canzonandoci di tanto in tanto, sempre senza ritegno.
“Ah, Italy?” e così siamo costrette a subire il racconto della sua famiglia slovacca e di sua sorella, che si è fidanzata con un romano.
Non sappiamo più che cosa dirle, e i momenti di silenzio sono talmente imbarazzanti che per rompere il ghiaccio ci guardiamo e scoppiamo nuovamente a ridere, tutte e tre.
Ma siamo davvero così buffe? E poi, perché la signorina non torna a lavorare invece di fissarci con quello sguardo sarcastico?
Che strano modo che hanno di vendere i cristalli di Boemia!
Tuttavia, il meglio della serata deve ancora arrivare…
Di ritorno dall’albergo, infatti, ogni notte, Elena suole scendere alla reception, dove puntualmente ci prova con l’albergatore, con la scusa di acquistare l’acqua.
È sempre la stessa storia: “ragazze, non aspettatemi… stasera non torno!”. Ma poi purtroppo torna sempre, inevitabilmente.
Dunque, come ogni sera, la medesima scena si ripete, ma stavolta prendo di petto la situazione e decido di accompagnarla giù acciocchè il mio fondamentale sostegno nonché il mio Charme and Shake possano giovarle, attraverso battute sagaci, rivolte al receptionist, al fine di fornire loro argomenti di conversazione.
“Is it possible to drink the water of the sink?” pertanto gli chiedo.
“Yes, I think it is possible”. È la sua risposta, sibillina.
Ma, per dirla in breve, il mio intervento non ha molta presa, Elena non riesce a cogliere la bottiglia al balzo, e, in poche parole, torniamo mestamente in stanza, anche perché, tra uno scarafaggicidio e l’altro, mi tocca anche assaggiare l’acqua del rubinetto, direttamente dalla Moldava.

02 agosto: QUASI QUASI NON TORNO…
Non è poi così facile arrivare al castello di Praga: in seguito ad una strada in “leggera” pendenza e a momenti di sana disorientation, finalmente varchiamo le porte della roccaforte della città, dove le nostre guardie, a cui siamo ormai affezionate, ci attendono con ansia. Sullo stomaco, ancora l’abbondante colazione dell’albergo: tra bomboloni (che comunque non hanno nulla a che vedere con quelli italiani), marmellata, cioccolata e pane di segale, non so proprio dire che cosa sia meglio. Forse il momento più bello, ogni mattina, è quando, con la massima disinvoltura, anzi oserei dire sprezzatura, preparo i panini per il pranzo sotto gli occhi del personale del Mira, mentre Chiara compie le medesime operazioni senza riuscire a dissimulare l’imbarazzo, di fronte alla divertita cameriera, che di tanto in tanto guarda anche me, e allora vorrei chiederle se desidera favorire. Elena, almeno in questo non ci pensa due volte e in men che non si dica, ha già confezionato due sandwich al prosciutto: ah, quanti ricordi… ma torniamo al castello!
Lì, infatti, ci attende la galleria Stemberg, un enorme museo, che, a differenza delle arti decorative, merita di essere visitato, non soltanto per le opere medievali, i fiamminghi, Rubens e Tintoretto, ma anche per l’invadenza degli addetti che ci inseguono di sala in sala senza abbandonarci mai, quasi misurando i nostri passi nell’intento di proteggere le inestimabili opere dalle tre cafone italiane.
“complimenti per lo zelo degli addetti”. Questa volta è proprio il caso di scriverlo sul guest book!
Il nostro penultimo pomeriggio praghese viene inaugurato dal cambio delle brutte guardie del castello, e poi, incredibilmente, ci dividiamo: Chiara, infatti, decide di recarsi, a suo rischio e pericolo, al Palazzo delle Esposizioni, dove non soltanto è colta dalla sindrome di Stendhal, ma viene anche brutalmente cacciata fuori all’orario di chiusura; io ed Elena, invece, torniamo per un po’ a Strahov, passando per lo stadio: lo Sparta Praga è grande, ma noi siamo pur sempre i campioni d’Europa. Per finire, su grande richiesta, prima di ricongiungerci con Chiara presso la piazza di Tyn, non possiamo perderci il nostro amato Ponte Carlo, con tanto di Elen, la devota pittrice.
Appena mi vede, infatti, per poco non è colta da una sincope, cerca di trattenere le lacrime, miste allo stupore, e finalmente si commuove, neanche fossi S. Venceslao: “tu essere tanto brava!” esclama, prendendomi le mani, lasciandomi senza esitazione il suo indirizzo e - mail e come se non bastasse il numero di telefono. La fan è talmente toccata nel profondo che decide di donarmi una delle sue preziosissime opere, un notturno invernale del Ponte Carlo; anche Elena ottiene qualcosa, essendo nel mio entourage.
Addio pittori di strada, addio Moldava, addio casa danzante, addio Fred Astaire e Ginger Rogers… addio Ponte Carlo… ma abbiamo ancora tanti amici da salutare: recuperata Chiara, infatti, ci rechiamo per l’ultima volta al Corto, dove riesco a disarmare Billy con la mia doppia bruschetta, tanto per rimanere leggera, e finalmente lo accontento prendendo il gelato. Ma chissà perché il suo luminoso sorriso si smorza a fine pasto, quando ci accomiatiamo da lui… senza lasciargli la mancia: l’importante è il pensiero, e noi penseremo spesso al nostro ristorante italiano preferito…
L’ultima notte praghese si dilegua, e, al ritorno in stanza, le bestiole kafkiane sono più agguerrite che mai, come se volessero salutarci: io cerco di domare le solite falene, ma poi mi stendo sconfitta sul mio letto, mentre Elena e Chiara, che dividono l’egro talamo, s’imbattono in scarafaggi volanti molto ma molto antipatici.
Ragazze, è l’ultima sera: facciamo un festino? (forse dopo aver profferito queste parole mi sono vagamente appisolata, ma comunque non ero stanca…)

03 agosto: I MIEI PIU’ SENTITI COMPLIMENTI!
È veramente l’ultimo giorno. È veramente l’ultimo giorno. È veramente l’ultimo giorno.
C’è il sole e fa caldo. C’è il sole e fa caldo. C’è il sole e fa caldo.
Beh… se continuo a scrivere in questo modo penso che potrei perdere tutti i miei fans, quindi cercherò di vincere l’emozione, la nostalgia, la tristezza e altri futili dettagli, cercando di rievocare gli ultimi sprazzi di una domenica praghese, prendendo le mosse dalla visita mattutina a Viserad, che ricorda proprio le scampagnate domenicali, poiché si tratta di un luogo molto bucolico, e io ne sono affascinata. In realtà ci dividiamo ancora, dato che Chiara, ancora in preda alla sindrome del giorno precedente, torna al Palazzo delle Esposizioni. Dunque non mi resta che scortare la Contessa in quest’amena passeggiata nel parco: vorremmo recarci ad una rotonda romanica, ma sfortunatamente è chiusa. Ci rifacciamo con la chiesa neo – gotica di S. Pietro e S. Paolo, ma viviamo il momento più drammatico di tutta la gita quando mettiamo piede nei bagni pubblici di Viserad, dove per poco non veniamo mangiate vive dall’isterica signora dei cessi, che ci insulta ripetutamente in ceco e disinfetta tutto ciò che tocchiamo, dal lavandino alla maniglia della porta…usciamo a dir poco sconvolte, senza trascurare di avvisare le attempate signore inglesi che aspettano il loro turno della pericolosità del soggetto: “It’s very dangerous!”.
Il giro di Viserad prosegue dolcemente, gettando di tanto in tanto un’occhiata alla nostra guida del Touring… “che bello questo posto!” esclamo “ma su questa chiesa c’è per caso un commento?”
No, nessun convento!” risponde Elena alla ceca.
E poi di nuovo in albergo, per l’ultima volta, ad attendere l’omino incaricato di condurci all’aeroporto: Chiara, per essere sicura, sostiene che sia il caso di aspettarlo fuori, per non rischiare di restare prigioniere di questa stupenda capitale dell’Est, ma io ritengo che sia più opportuno lasciare qualche memoria sul guest book del Mira, attraverso una dedica struggente, dove riversiamo tutto il nostro amore per Praga, in cui i “complimenti” non si contano…
L’autista arriva, inesorabilmente puntuale, e dunque ci affrettiamo a salutare il receptionist, ormai in marcia verso Milano. Un ultimo sguardo alla Moldava che solca la città, e poi eccoci a bordo dell’aereo: nonostante le mie tic tac piccanti e il disgustoso biscotto “Caramel” (il nome è una garanzia) offertoci dalla compagnia con cui viaggiamo, il sacchettino di Elena è immacolato! Forse è tutto merito delle sue medicine, che ha ingerito poco prima di partire…
“Chiara, per favore, leggi le contro – indicazioni, perché voglio sapere se questi farmaci danno sonnolenza, ma non dirmi gli altri effetti collaterali, perché altrimenti mi impressiono…”
“ok… non ti preoccupare, Ele! Dunque, vediamo… guarda un po’ che roba… anoressia, bulimia, diarrea e stitichezza tutto insieme. Ma come si fa? Per non parlare dei disturbi psichiatrici e delle allucinazioni, però!”
Comunque era solo un farmaco contro il mal d’aereo!
Tra un ricordo e l’altro, abbiamo già sorvolato mezza Europa. Siamo letteralmente fra le nuvole… il panorama che possiamo scorgere dall’oblò è a dir poco metafisico! Pertanto, di fronte a tutto ciò, non posso fare altro che congratularmi, o meglio… esprimere i miei più sinceri complimenti… complimenti a Praga, la città a cui è impossibile dire addio, ma soltanto, come cantavano i Ricchi e Poveri, nostri compagni di viaggio per sette giorni, chissà, sarà quel che sarà.
[1] Kafka (1993), La metamorfosi, Garzanti Editore

[2] molto liberamente tratto da “L’italiano” di Cotugno

1 commento:

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